Myanmar. 40 morti in scontri interetnici tra musulmani e buddisti. Appelli alla riconciliazione
Alta tensione in Myanmar. È salito a 40 morti il bilancio delle violenze scoppiate
tra comunità musulmana e buddista, nei giorni scorsi, a Meitkhila, nel centro del
Paese. Numerose abitazioni e moschee sono state date alle fiamme. Le autorità hanno
imposto il coprifuoco e schierato l’esercito. Disordini si segnalano anche nella regione
di Bago. In questo scenario rappresentanti musulmani, cristiani, hindu e buddisti
hanno diffuso un appello congiunto alla riconciliazione. Massimiliano Menichetti
ha intervistato Stefano Caldirola, docente di Storia contemporanea dell’Asia
all’Università degli studi di Bergamo:
R. – Meikthila
è un’area che era stata fino a questo momento al di fuori dei gravissimi scontri verificatisi
lo scorso anno, che hanno riguardato soprattutto lo Stato Rakhine, nella zona occidentale
del Paese. La mia impressione è che, dietro uno scontro religioso, ci sia in realtà
prevalentemente uno scontro di natura etnica. Noi abbiamo visto una serie di violenze
tra musulmani e buddisti a partire dagli anni Trenta del Novecento, ma dietro questo
conflitto, rivestito di un significato religioso, vi è in realtà uno dei tanti conflitti
etnici: ci troviamo in un Paese molto composito dove, con oltre 135 gruppi etnici
diversi, gli scontri sono all’ordine del giorno. D. - Oggi, chi si sta contrapponendo
al centro del Paese rispetto ad un anno fa nello Stato Rakhine? R. - Nello Stato
Rakhine, la contrapposizione è tra i buddisti autoctoni rakhine e i musulmani
rohingya. I musulmani rohingya sono immigrati dall’attuale Bangladesh,
quindi dalla regione del Bengala, alcuni in epoche piuttosto remote e altri durante
il periodo coloniale. Per quanto riguarda il centro del Paese, in passato ci sono
stati scontri e hanno coinvolto però prevalentemente i musulmani di origine indiana,
anche questi migrati durante l’epoca coloniale. Ora, non è ben chiaro chi siano le
parti in conflitto, in quanto si parla genericamente di scontri tra buddisti e musulmani,
ma ci sono diversi gruppi di musulmani in Myanmar, spesso si tende ad accomunarli
tutti, ma in realtà ci sono molte differenze.
D. - In città, a Meikthila, sono
state dispiegate le forze armate e decretato lo stato d’emergenza. Come si comporta
lo Stato centrale in queste situazioni?
R. - Ha avuto un atteggiamento piuttosto
ambiguo nel corso degli scontri nello Stato Rakhine lo scorso anno, perché, da un
lato, si faceva appello ai rivoltosi di fermarsi e si cercava di ristabilire l’ordine,
in realtà, molte fonti, sia all’interno della minoranza musulmana sia all’interno
dell’opposizione, hanno denunciato un atteggiamento di connivenza da parte delle autorità
nei confronti di questi scontri interetnici.
D. - Perché? Qual è l’interesse?
R.
- Perché le aperture democratiche in un Paese con 135 etnie ufficialmente riconosciute
possono portare ad un aumento della conflittualità, che era stata parzialmente sedata
in queste zone dal duro governo militare. Certamente, si sta cercando di rimodellare
il rapporto tra l’etnia maggioritaria Bamar, profondamente buddista, e le altre minoranze.
Fino a questo momento, il conflitto ha riguardato soprattutto le minoranze di confine,
per esempio i kachin, gli shan, i karen. Ora, però il timore da parte del governo
centrale è che una maggiore democratizzazione della società birmana possa portare
ad accendere un conflitto anche nelle zone tradizionalmente a maggioranza bamar.
D.
- La comunità internazionale sembra non esporsi…
R. - La comunità internazionale
è impegnata in un riconoscimento dell’apertura democratica del Myanmar e non vuole
prendere posizione su questioni che sono considerate questioni interne. C’è stata
una dura presa di posizione da parte dei Paesi musulmani, riguardo alla discriminazione
della minoranza, in particolare della minoranza rohingya, e questo ha creato
dei problemi a livello diplomatico. Però non credo che questi scontri possano influenzare
il processo di riavvicinamento del Myanmar nei confronti dei Paesi europei, nei confronti
degli Stati Uniti, che è ormai un processo che sta vivendo fasi di grande rapidità.