2013-03-26 15:36:19

Myanmar. 40 morti in scontri interetnici tra musulmani e buddisti. Appelli alla riconciliazione


Alta tensione in Myanmar. È salito a 40 morti il bilancio delle violenze scoppiate tra comunità musulmana e buddista, nei giorni scorsi, a Meitkhila, nel centro del Paese. Numerose abitazioni e moschee sono state date alle fiamme. Le autorità hanno imposto il coprifuoco e schierato l’esercito. Disordini si segnalano anche nella regione di Bago. In questo scenario rappresentanti musulmani, cristiani, hindu e buddisti hanno diffuso un appello congiunto alla riconciliazione. Massimiliano Menichetti ha intervistato Stefano Caldirola, docente di Storia contemporanea dell’Asia all’Università degli studi di Bergamo:RealAudioMP3

R. – Meikthila è un’area che era stata fino a questo momento al di fuori dei gravissimi scontri verificatisi lo scorso anno, che hanno riguardato soprattutto lo Stato Rakhine, nella zona occidentale del Paese. La mia impressione è che, dietro uno scontro religioso, ci sia in realtà prevalentemente uno scontro di natura etnica. Noi abbiamo visto una serie di violenze tra musulmani e buddisti a partire dagli anni Trenta del Novecento, ma dietro questo conflitto, rivestito di un significato religioso, vi è in realtà uno dei tanti conflitti etnici: ci troviamo in un Paese molto composito dove, con oltre 135 gruppi etnici diversi, gli scontri sono all’ordine del giorno.
D. - Oggi, chi si sta contrapponendo al centro del Paese rispetto ad un anno fa nello Stato Rakhine?
R. - Nello Stato Rakhine, la contrapposizione è tra i buddisti autoctoni rakhine e i musulmani rohingya. I musulmani rohingya sono immigrati dall’attuale Bangladesh, quindi dalla regione del Bengala, alcuni in epoche piuttosto remote e altri durante il periodo coloniale. Per quanto riguarda il centro del Paese, in passato ci sono stati scontri e hanno coinvolto però prevalentemente i musulmani di origine indiana, anche questi migrati durante l’epoca coloniale. Ora, non è ben chiaro chi siano le parti in conflitto, in quanto si parla genericamente di scontri tra buddisti e musulmani, ma ci sono diversi gruppi di musulmani in Myanmar, spesso si tende ad accomunarli tutti, ma in realtà ci sono molte differenze.

D. - In città, a Meikthila, sono state dispiegate le forze armate e decretato lo stato d’emergenza. Come si comporta lo Stato centrale in queste situazioni?

R. - Ha avuto un atteggiamento piuttosto ambiguo nel corso degli scontri nello Stato Rakhine lo scorso anno, perché, da un lato, si faceva appello ai rivoltosi di fermarsi e si cercava di ristabilire l’ordine, in realtà, molte fonti, sia all’interno della minoranza musulmana sia all’interno dell’opposizione, hanno denunciato un atteggiamento di connivenza da parte delle autorità nei confronti di questi scontri interetnici.

D. - Perché? Qual è l’interesse?

R. - Perché le aperture democratiche in un Paese con 135 etnie ufficialmente riconosciute possono portare ad un aumento della conflittualità, che era stata parzialmente sedata in queste zone dal duro governo militare. Certamente, si sta cercando di rimodellare il rapporto tra l’etnia maggioritaria Bamar, profondamente buddista, e le altre minoranze. Fino a questo momento, il conflitto ha riguardato soprattutto le minoranze di confine, per esempio i kachin, gli shan, i karen. Ora, però il timore da parte del governo centrale è che una maggiore democratizzazione della società birmana possa portare ad accendere un conflitto anche nelle zone tradizionalmente a maggioranza bamar.

D. - La comunità internazionale sembra non esporsi…

R. - La comunità internazionale è impegnata in un riconoscimento dell’apertura democratica del Myanmar e non vuole prendere posizione su questioni che sono considerate questioni interne. C’è stata una dura presa di posizione da parte dei Paesi musulmani, riguardo alla discriminazione della minoranza, in particolare della minoranza rohingya, e questo ha creato dei problemi a livello diplomatico. Però non credo che questi scontri possano influenzare il processo di riavvicinamento del Myanmar nei confronti dei Paesi europei, nei confronti degli Stati Uniti, che è ormai un processo che sta vivendo fasi di grande rapidità.







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