"L'azzardo non è un gioco": impatto sconvolgente su persone e famiglie
I giochi d’azzardo sono ormai la terza industria italiana: danno lavoro a 120 mila
addetti, muovendo circa il 4% del Pil. Delle loro implicazioni sociali si è discusso
a Roma, in Campidoglio, durante il convegno “L’azzardo non è un gioco”. Il simposio,
moderato dal giornalista di Radio Vaticana Massimiliano Menichetti, ha coinvolto esponenti
della politica, dei media, della società civile, della Chiesa e delle associazioni
di settore. Lo ha seguito per noi Davide Maggiore:
L’Italia
sta diventando un enorme tavolo verde? Il settore dei giochi d’azzardo non ha risentito
della crisi economica: anzi, nel 2012, il suo fatturato è cresciuto del 10 per cento,
arrivando a sfiorare - secondo i dati dell’associazione ‘Libera’ - i 90 miliardi di
euro. Altri 15 miliardi rappresentano un giro d’affari parallelo e illegale. Ne parla
l’avvocato Attilio Simeone, che coordina il cartello di associazioni “Insieme
contro l’azzardo”:
“Il gioco d’azzardo illegale non scompare perché c’è
lo Stato che se ne occupa, ma viene alimentato dal gioco d’azzardo legale. Per il
giocatore, una volta caduto nella patologia, è la stessa cosa giocare legalmente o
illegalmente. Questo alimenta queste due sacche e davanti a questi numeri la criminalità
organizzata certamente non sta a guardare”.
C’è anche chi ricorre all’usura
per finanziare i suoi debiti di gioco, come spiega mons. Alberto D’Urso, segretario
della Consulta nazionale antiusura:
“È un circolo vizioso, l’azzardo porta
a indebitarsi, quindi porta all’usura. Chi ormai è giocatore patologico ha bisogno
di soldi e si indebita facilmente, ma a sua volta l’usura è causa dell’azzardo”.
Quella
dei giocatori compulsivi è una vera e propria malattia, che colpisce, secondo le stime,
tra le 500 mila e le 800 mila persone. A subirne le conseguenze sono spesso intere
famiglie. Ascoltiamo Simone Feder, psicologo, che lavora con la Casa del Giovane
di Pavia:
“Nel 2008 un ragazzino è venuto a chiedermi aiuto per essere aiutato
a gestire il conto corrente del papà. Una cosa tragica è che in molte famiglie è presente
questo dramma e chi ne soffre di più sono soprattutto i più giovani, i bambini. Sentire
la sofferenza che sta dietro a un bambino è sconvolgente: dove oggi abbiamo un giocatore
d’azzardo non dobbiamo dimenticare che ci sono cinque familiari che rischiano di ammalarsi”.
È
dunque fondamentale lavorare sulla prevenzione, ma soprattutto sull’educazione, perché
la malattia dell’azzardo è un problema sanitario, ma ha radici nella cultura e nell’etica.
A indicare un principio guida è mons. Alberto D’Urso:
“Non è ‘l’uomo
per il gioco’, è ‘il gioco per l’uomo’, e l’azzardo non è un gioco: è un grosso pericolo
ed è una malattia. Dobbiamo smetterla di essere indifferenti di fronte ai mali di
carattere sociale. Come cristiani e cattolici vogliamo testimoniare davvero con le
opere la nostra fede; dobbiamo fare una ampia opera di educazione alla sobrietà, di
formazione, a cominciare dai bambini, perché oggi noi vediamo che già tra i bambini
il ‘gratta e vinci’ è un gioco molto diffuso”.
Su questo fronte sono chiamati
ad impegnarsi anche i media. Marco Tarquinio, direttore del quotidiano Avvenire
spiega quale può essere il ruolo dell’informazione...
“… è quello di far
capire le proporzioni del fenomeno. Significa dare una mano alle persone davvero,
quindi è un’opera di misericordia, perché il gioco d’azzardo, quando diventa davvero
compulsivo, sconvolge la vita delle famiglie e mette in crisi le generazioni. Padri
gioco-dipendenti accompagnati ai centri di recupero dai figli: è l’opposto di quello
che eravamo abituati a vedere con le tossicodipendenze”.