Corea del Nord: siamo “in assetto da combattimento” contro gli Usa
Gli Stati Uniti prendono "molto sul serio" la minaccia della Corea del Nord che ha
annunciato di aver dispiegato in assetto di combattimento le proprie forze armate
per un eventuale attacco al territorio americano. "Siamo preoccupati e pronti ad ogni
contingenza” fa sapere il Pentagono. “ La Corea del Nord – afferma la Casa Bianca
- non otterrà nulla con le minacce, che si tradurranno solo in un ulteriore isolamento”.
Da parte sua, la Cina invita ''tutte le parti” alla moderazione''. Per capire come
si è determinata questa situazione, Fausta Speranza ha intervistato Germano
Dottori, docente di Studi strategici all’Università Luiss:
R. – Mentre
in passato gli Stati Uniti rispondevano alle provocazioni e ai ricatti della Corea
del Nord cercando in qualche modo di predisporre compensazioni per moderare gli attriti
e le tensioni, l’amministrazione Obama ha deciso di adottare un atteggiamento del
tutto differente per dimostrare che questa politica non paga. Oltretutto, era stata
osservata una reiterazione continua del modello di provocazioni. Adesso, evidentemente,
la Corea del Nord ha la necessità di rincarare la dose e accentua anche la dimensione
regionale delle proprie provocazioni. Questo, ovviamente, per determinare un’ulteriore
internazionalizzazione della crisi e anche costringere la Cina ad adottare misure
che provochino la concessione di alcuni benefici nei confronti della Corea del Nord
che, lo ricordiamo, è un Paese sotto embargo.
D. – Bisogna dire che la Cina
da parte sua invita alla moderazione in questo momento…
R. – Evidentemente,
i cinesi comprendono – probabilmente al contrario dei nordcoreani – che esistono equilibri
di natura globale e credo che Pechino non sia più di tanto disposta a rischiare, per
la Corea del Nord la compromissione ulteriore della propria posizione strategica nel
mondo. Già adesso i cinesi si rendono conto, ad esempio, che ci sono tensioni crescenti
in prossimità delle proprie coste e delle proprie frontiere. Non credo che a Pechino
si valuti positivamente che un attore considerato in qualche modo alleato si muova
così provocatoriamente senza tenere conto delle esigenze della Repubblica popolare.
D.
- Diciamo che Pyongyang ci ha abituato sul piano internazionale a mosse che avevano
però un valore soprattutto sul piano interno, cioè di impatto sull’opinione pubblica.
In questo caso, che dire?
R. – E’ possibile che qualcosa del genere sia in
atto anche adesso. Occorre ricordare che in Corea del Nord è asceso al potere un leader
giovane il quale deve rafforzare la propria considerazione nei confronti dell’élite
militare che regge il Paese. Non è da escludere che anche queste provocazioni siano
una forma di valorizzazione della principale constituency, del principale soggetto
che sostiene il regime. Credo sia opportuno ricordare che la Corea del Nord è un Paese
di 24 milioni di abitanti, che ha più di un milione e duecentomila persone sotto le
armi. Quindi, il grado di militarizzazione, il grado di controllo militare che si
sente in quel Paese è veramente straordinario e risulta molto difficile per chiunque
consolidare la propria presa politica sul Paese senza avere le Forze armate al proprio
fianco.
D. – Rimane un regime molto chiuso, dove la popolazione vive in condizioni
di povertà…
R. – Consegue inevitabilmente sia alle sanzioni applicate nei suoi
confronti che alla scelta fatta con la stessa adozione del sistema economico-politico
comunista di chiudersi nei confronti del resto del mondo. Ed è una cosa che ha ripercussioni
non soltanto sulla sfera economica, ma persino in ogni altra dimensione culturale
nella Corea del Nord. La presenza degli stranieri è ridotta al minimo: sostanzialmente
esistono soltanto i diplomatici delle ambasciate aperte e niente più. E’ uno stato
di chiusura completa, che ovviamente rende difficilissimo l’innesco di un processo
di sviluppo e compromette la possibilità di raggiungere il benessere.