2013-03-25 14:26:44

Sugli schermi in Italia "Il figlio dell'altra" della regista francese Lorraine Lévy


E’ la storia di Joseph e di Yacine, è la storia drammatica di due famiglie che, su fronti opposti, si trovano costrette a dialogare per dare una speranza ai due ragazzi e, attraverso loro, a due popoli in guerra: da qualche giorno è sugli schermi italiani “Il figlio dell’altra” della regista francese Lorraine Lévy, un film che crede nel dialogo e diventa un mezzo per abbattere i muri e condividere un futuro di pace. Il servizio di Luca Pellegrini:RealAudioMP3

“Bene, cercherò di spiegarvi i fatti. Il suo parto, signora Silberg, è stato contemporaneo a quello della signora Al Bezaaz ed eravate in stanze contigue. Di conseguenza, siamo giunti alla conclusione che ci sia una fortissima possibilità che i vostri due bambini - per errore - siano stati scambiati, quando l’ospedale è stato evacuato”.

Lo ammette il medico dell'ospedale di Haifa, dinanzi a una coppia di genitori ammutoliti: i neonati sono stati scambiati. E' soprattutto il cuore delle due madri a spezzarsi, ma anche a rivendicare con forza e dignità un ordine superiore, quello dell'amore. Una è palestinese, una israeliana. Hanno cresciuto e curato e amato ciascuna il figlio dell'altra. In una realtà politicamente e socialmente così diversa e dolorosa come quella che contrappone i due popoli, nulla è scontato, tutto può essere tragico. Lorraine Lévy ha sentito, ancor prima di scriverla e di girarla, la forza di questa storia, i temi di drammatica attualità che affronta, penetrando con emozione, obiettività e equilibrio le dinamiche interne alle due famiglie nei momenti di maggior dolore e apprensione, di accoglienza e rifiuto. Nei titoli di coda la regista francese ringrazia tutti coloro che hanno collaborato al film, con una postilla: "questa è stata la più bella avventura della mia vita" Le abbiamo chiesto il perché. Ecco la risposta di Lorraine Lévy:

R. – Parce-que, pour être tout a fait sincère, ça allait au de la de la réalisation …
Perché, per essere sincera fino in fondo, questa è stata un’esperienza che è andata ben al di là della realizzazione di un film: aveva alle spalle un’avventura umana, spirituale per me importante e che ha fatto sì che questa avventura mi abbia trasformata. Come ho detto, ho veramente lavorato con persone di ogni credo: con ebrei, arabi musulmani, palestinesi cristiani e tutte queste persone, invece di essere separate a causa della loro fede, erano unite proprio per la loro fede. Questo, in realtà, mi ha permesso di fare questo film, e anche di crescere …

D. – Le madri affrontano subito la situazione: si guardano, si toccano. I padri fuggono dalla realtà e dal dolore, anzi, si contrappongono. Ancora una volta è la forza delle donne che ci apre ad un futuro più umano?

R. – Oui, c’est ce que je crois. Je crois que les mères sont l’incarnation d’une vérité …
Sì, è questo che io credo. Credo che le madri siano l’incarnazione di una verità incomprimibile: loro danno la vita, e a parte il fatto che danno la vita hanno, rispetto agli uomini, il vantaggio che questa vita è fondamentale, è il senso stesso delle cose e bisogna proteggerla di fronte a tutto! In questa storia, la prima reazione degli uomini è stata: “Ho perso un figlio!”; la prima reazione delle donne è stata: “Abbiamo ritrovato un figlio”. In definitiva, tutto il film è in questo spazio, tra la perdita e la conquista.

D. – Un film sull’apertura e sulla speranza. Ne ha avuto la percezione mentre si trovava in mezzo alla gente durante le riprese?

R. – Moi, d’abord, là-bas j’ai ressenti d’une force vitale extraordinaire. …
Prima di tutto, ho percepito una straordinaria forza vitale. Poi, come ho detto, è stata la mia équipe a condurmi e la mia équipe era composta di palestinesi e di israeliani, ed era tutta volta a questa speranza. C’è una gioventù che è forza viva e io credo che sì, ci sia la speranza, e più che la speranza, credo che ci sia la voglia dei giovani di vivere liberi e tranquilli. Solo tranquilli.







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