2013-03-22 14:24:12

Obama in Medio Oriente per un maggiore sforzo diplomatico


Il presidente statunitense, Barak Obama, è arrivato in Giordania, dopo tre giorni trascorsi in Israele. Ad Amman incontrerà il re Abdallah. Stamani, prima di lasciare Gerusalemme, Obama ha incontrato il premier israeliano, Netanyahu e ha fatto visita al Museo della Shoah, Yad va-Shem, quindi si è recato a Betlemme, in Cisgiordania, dove ha visitato la Basilica della Natività. Sicurezza per Israele e uno Stato per i palestinesi, ma anche monito all’Iran per fermare il programma nucleare. Questi in sintesi i concetti espressi in questi giorni. Sul significato del viaggio di Obama, Giancarlo La Vella ha intervistato Giorgio Bernardelli, esperto di Medio Oriente: RealAudioMP3

R. – Che cosa segna, questa visita di Obama? Segna certamente un cambio di strategia. Non è l’Obama del 2009, delle iniziative politiche attraverso i leader, per fermare la costruzione degli insediamenti israeliani nei Territori, con una posizione molto forte. Quello di oggi è un Obama molto più politico, il cui principale obiettivo in questo viaggio era di riguadagnare la fiducia di Israele. In qualche modo, anche di parlare in maniera diretta all’opinione pubblica israeliana, scavalcando un governo, come quello di Netanyahu, che al di là dei sorrisi e delle strette di mano, lui avverte come ostile.

D. – Concetti come “uno Stato per i palestinesi”, “sicurezza per Israele” possono sembrare scontati: se n’è parlato più d’una volta. L’importante è come poi concretizzare questi obiettivi. Gli Stati Uniti che cosa potrebbero fare?

R. – Il fatto politico più importante, che segue a questa visita, è il fatto che Obama torna a Washington, ma nell’area resta il segretario di Stato Kerry, il che implica che nella strategia della Casa Bianca questo viaggio di Obama è un punto d’inizio, in cui gli Stati Uniti vogliono riprendere in qualche modo le fila di questo processo di pace che è congelato da due anni. Per andare dove e con quali esiti concreti, questo è difficile da dire oggi, soprattutto perché le posizioni delle due parti al tavolo dei negoziati sono lontanissime. Infatti, ieri il partito più vicino al movimento dei coloni, che ora è parte della coalizione che sostiene Netanyahu, ha subito risposto in maniera molto secca alle dichiarazioni di Obama, dicendo che le conseguenze di quello che lui dice si sono viste a Sderot, colpita da razzi sparati da Gaza. Quindi, se da un certo punto di vista l’opinione pubblica è stata abbastanza positiva riguardo a questo viaggio, all’interno dell’establishment politico israeliano non ci sono le stesse analisi e quindi incomincia una partita che sarà comunque molto impegnativa, per John Kerry. Vedremo dalle prossime settimane quanto Washington abbia realmente intenzione di investire in questo tipo di negoziato e quanto potrà realmente arrivare a sbloccare una situazione che al momento, al di là delle parole, appare ancora chiusa.

D. – L’ultimatum all’Iran, può far pensare al progetto di Obama di creare una presenza americana più stabile nell’area mediorientale per poter poi intervenire eventualmente anche in Siria?

R. – Io credo che quanto Obama ha detto sull’Iran sia esattamente quanto Israele si aspettava di sentire. Il caapo della Casa Bianca non poteva pensare di rilanciare la sua immagine in Israele senza dire quello che ha detto sull’Iran. Da qui, però, ad una presenza più forte ed anche a un possibile intervento diretto nello scenario siriano, io credo che ce ne corra abbastanza! Nel senso che, comunque, Obama ha insistito sulla via negoziale nei confronti di Teheran, dicendo che Washington è disposta a tutto pur di fermare il programma nucleare iraniano, ma che, comunque, la via che sta dando maggiori frutti è quella negoziale. Per questo io credo che nell’immediato non ci saranno grandi cambi di passo rispetto a questo tipo di scenario.







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