2013-03-21 07:38:14

La Siria e l’uso di armi chimiche al centro della prima giornata di Obama in Medio Oriente


Oggi Obama in Cisgiordania
Oggi, storica visita del presidente Obama in Cisgiordania, alla Muqata, sede dell'Autorità nazionale palestinese (Anp). Alle 12.30 l'incontro privato tra il presidente Abu Mazen (Mahmoud Abbas) e Barak Obama, poi il pranzo informale che vedrà riuniti i rappresentanti dell'Olp e i membri della delegazione americana. Per le 13.30 è prevista la conferenza stampa congiunta dei due leader. Da parte sua, l’Olp in un messaggio ad Obama afferma: “Non abbiamo bisogno di altri 20 anni di negoziati, occorre invece una chiara volontà politica per realizzare le risoluzioni dell'Onu e quanto stabilito dal diritto internazionale''. L’Olp parla di “decenni di impunità israeliana” e chiede negoziati per “creare due Stati sovrani: la Palestina ed Israele”.
Negli incontri con le autorità israeliane ieri a Gerusalemme Obama ha promesso 200 milioni di dollari ad Israele per l’assistenza al sistema difensivo antimissile Iron Dome. Ha ribadito la vicinanza tra Tel Aviv e Washington. Al centro dei colloqui la situazione in Siria: Israele si dice certo dell’uso di armi chimiche mentre opposizione siriana e regime di Damasco - che si accusano reciprocamente - chiedono un'inchiesta internazionale. Obama vuole un’indagine esatta. L’uso di armi chimiche significherebbe il superamento della ideale “linea rossa”' che frena da un intervento militare.
Delle priorità della visita di Obama in Medio Oriente, Fausta Speranza ha parlato con la studiosa Marcella Emiliani:00:03:55:37

R. –Diciamo che il resto del Medio Oriente vorrebbe imporgli delle priorità: tra queste priorità, la prima è quella che riguarda il processo di pace con i palestinesi. Il problema, però, è che questo sembra essere l’ultimo dei temi che pressano in questo momento l’amministrazione americana. Diciamo che i due punti più importanti sono quelli che riguardano l’Iran e la Siria e in terzo luogo l’Egitto. Come ultimo punto c’è certamente il processo di pace. Il nuovo governo israeliano ha già – a parole – aperto, parlando di compromesso con i palestinesi. In realtà, nei fatti continua il processo di colonizzazione della Cisgiordania, il che significa che di processo di pace in questa fase non si può parlare.

D. – Dunque, prof.ssa Emiliani, quali possono essere i frutti di questa visita di Obama in Israele?

R. – Si possono dire quali siano le cose che Obama vuole da questo viaggio: se poi le porti a casa, questo è un'altra cosa. L'obiettivo più importante è di frenare Netanyahu per un eventuale attacco all’Iran. Netanyahu, da parte sua, vuole invece capire bene dagli Stati Uniti fin dove concederanno all’Iran di procedere con il processo di arricchimento dell’uranio per confezionare la bomba atomica. Netanyahu cerca una "red line" oltre la quale sapere che gli Stati Uniti gli daranno l’ok per un eventuale attacco all’Iran. Quindi, si sta parlando di un discorso molto importante e molto pericoloso.

D. – Invece, da un colloqui sulla Siria cosa ci si può aspettare?

R. – In questo momento, la cosa più pressante è che da parte dell’opposizione siriana ci si aspetta che gli Stati Uniti armino l'opposizione stessa. Gli Stati Uniti non vogliono farlo, perché sanno benissimo che in questa opposizione al regime di Assad ci sono dei jihadisti, quindi persone che l’hanno giurata a morte non solo a Israele ma anche agli Stati Uniti e che peraltro sono attestati vicino alle alture del Golan e quindi vicino ad Israele. Su questo evidentemente gli interessi di Stati Uniti e di Israele concordano. Però, c’è un problema di "timing". Finora, gli Stati Uniti nei confronti dell’opposizione siriana si sono mantenuti molto sulle generali, molto tiepidi diciamo, perché molto probabilmente privilegiano l’intesa con l’Iran: se armassero pesantemente l’opposizione al regime di Assad, l’Iran chiuderebbe automaticamente le porte a un qualsiasi dialogo con gli Stati Uniti. Quindi, è tutto un viaggio sul filo del rasoio, di questioni strategiche che riguardano non solo l’intera regione, ma l’intero pianeta, perché un Iran nucleare non fa certo piacere a nessuno. Sullo sfondo, poi, ci sono due problemi enormi: uno, sono i dieci anni dell’anniversario dell’operazione “Iraq Freedom”, che ha abbattuto la dittatura di Saddam Hussein, lasciando però un Iraq in preda a una anarchia abbastanza sanguinosa, come si è visto anche nelle ultime ore dagli attentati che ci sono stati. L’altro problema è relativo alle sorti di tutte le “primavere arabe”, prima di tutto quella in Egitto. Chiaramente, l’interesse degli Stati Uniti è salvaguardare l’accordo di Camp David, per questo hanno perfino sostenuto e finanziato i Fratelli musulmani. Ma è evidente che se la deriva jahdista e fondamentalista islamica dovesse aggravarsi - non solo in Egitto, ma anche in Tunisia – anche gli Stati Uniti dovrebbero cambiare la loro strategia.







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