La Siria e l’uso di armi chimiche al centro della prima giornata di Obama in Medio
Oriente
Oggi Obama in Cisgiordania Oggi, storica visita del presidente Obama in
Cisgiordania, alla Muqata, sede dell'Autorità nazionale palestinese (Anp). Alle 12.30
l'incontro privato tra il presidente Abu Mazen (Mahmoud Abbas) e Barak Obama, poi
il pranzo informale che vedrà riuniti i rappresentanti dell'Olp e i membri della delegazione
americana. Per le 13.30 è prevista la conferenza stampa congiunta dei due leader.
Da parte sua, l’Olp in un messaggio ad Obama afferma: “Non abbiamo bisogno di altri
20 anni di negoziati, occorre invece una chiara volontà politica per realizzare le
risoluzioni dell'Onu e quanto stabilito dal diritto internazionale''. L’Olp parla
di “decenni di impunità israeliana” e chiede negoziati per “creare due Stati sovrani:
la Palestina ed Israele”. Negli incontri con le autorità israeliane ieri a Gerusalemme
Obama ha promesso 200 milioni di dollari ad Israele per l’assistenza al sistema difensivo
antimissile Iron Dome. Ha ribadito la vicinanza tra Tel Aviv e Washington. Al centro
dei colloqui la situazione in Siria: Israele si dice certo dell’uso di armi chimiche
mentre opposizione siriana e regime di Damasco - che si accusano reciprocamente -
chiedono un'inchiesta internazionale. Obama vuole un’indagine esatta. L’uso di armi
chimiche significherebbe il superamento della ideale “linea rossa”' che frena da un
intervento militare. Delle priorità della visita di Obama in Medio Oriente, Fausta
Speranza ha parlato con la studiosa Marcella Emiliani:00:03:55:37
R.
–Diciamo che il resto del Medio Oriente vorrebbe imporgli delle priorità: tra queste
priorità, la prima è quella che riguarda il processo di pace con i palestinesi. Il
problema, però, è che questo sembra essere l’ultimo dei temi che pressano in questo
momento l’amministrazione americana. Diciamo che i due punti più importanti sono quelli
che riguardano l’Iran e la Siria e in terzo luogo l’Egitto. Come ultimo punto c’è
certamente il processo di pace. Il nuovo governo israeliano ha già – a parole – aperto,
parlando di compromesso con i palestinesi. In realtà, nei fatti continua il processo
di colonizzazione della Cisgiordania, il che significa che di processo di pace in
questa fase non si può parlare.
D. – Dunque, prof.ssa Emiliani, quali possono
essere i frutti di questa visita di Obama in Israele?
R. – Si possono dire
quali siano le cose che Obama vuole da questo viaggio: se poi le porti a casa, questo
è un'altra cosa. L'obiettivo più importante è di frenare Netanyahu per un eventuale
attacco all’Iran. Netanyahu, da parte sua, vuole invece capire bene dagli Stati Uniti
fin dove concederanno all’Iran di procedere con il processo di arricchimento dell’uranio
per confezionare la bomba atomica. Netanyahu cerca una "red line" oltre la quale sapere
che gli Stati Uniti gli daranno l’ok per un eventuale attacco all’Iran. Quindi, si
sta parlando di un discorso molto importante e molto pericoloso.
D. – Invece,
da un colloqui sulla Siria cosa ci si può aspettare?
R. – In questo momento,
la cosa più pressante è che da parte dell’opposizione siriana ci si aspetta che gli
Stati Uniti armino l'opposizione stessa. Gli Stati Uniti non vogliono farlo, perché
sanno benissimo che in questa opposizione al regime di Assad ci sono dei jihadisti,
quindi persone che l’hanno giurata a morte non solo a Israele ma anche agli Stati
Uniti e che peraltro sono attestati vicino alle alture del Golan e quindi vicino ad
Israele. Su questo evidentemente gli interessi di Stati Uniti e di Israele concordano.
Però, c’è un problema di "timing". Finora, gli Stati Uniti nei confronti dell’opposizione
siriana si sono mantenuti molto sulle generali, molto tiepidi diciamo, perché molto
probabilmente privilegiano l’intesa con l’Iran: se armassero pesantemente l’opposizione
al regime di Assad, l’Iran chiuderebbe automaticamente le porte a un qualsiasi dialogo
con gli Stati Uniti. Quindi, è tutto un viaggio sul filo del rasoio, di questioni
strategiche che riguardano non solo l’intera regione, ma l’intero pianeta, perché
un Iran nucleare non fa certo piacere a nessuno. Sullo sfondo, poi, ci sono due problemi
enormi: uno, sono i dieci anni dell’anniversario dell’operazione “Iraq Freedom”, che
ha abbattuto la dittatura di Saddam Hussein, lasciando però un Iraq in preda a una
anarchia abbastanza sanguinosa, come si è visto anche nelle ultime ore dagli attentati
che ci sono stati. L’altro problema è relativo alle sorti di tutte le “primavere arabe”,
prima di tutto quella in Egitto. Chiaramente, l’interesse degli Stati Uniti è salvaguardare
l’accordo di Camp David, per questo hanno perfino sostenuto e finanziato i Fratelli
musulmani. Ma è evidente che se la deriva jahdista e fondamentalista islamica dovesse
aggravarsi - non solo in Egitto, ma anche in Tunisia – anche gli Stati Uniti dovrebbero
cambiare la loro strategia.