2013-03-21 20:08:44

Giornata contro la discriminazione razziale. In Italia si chiede la cittadinanza per i figli di immigrati


Si è celebrata ieri la Giornata internazionale per l'eliminazione della discriminazione razziale, e in Italia si torna a parlare della cittadinanza a chi nasce sul territorio italiano, anche se da genitori stranieri. Servizio di Francesca Sabatinelli:RealAudioMP3

Furono uccisi in 72, e alla storia è passato come il Massacro di Sharpeville. Era il Sudafrica dell’apartheid, era il 21 marzo del 1960: durante una manifestazione pacifica contro la politica di oppressione messa in atto dal National Party, la polizia aprì il fuoco uccidendo decine di dimostranti, tra loro donne e bambini. In ricordo della strage, la giornata di oggi nel 2005 è stata dichiarata dall’Onu "Giornata internazionale per l'eliminazione della discriminazione razziale".

In occasione della ricorrenza di quest’anno, l’Unicef è tornata a chiedere che in Italia si riformi la legge sulla cittadinanza, che ad oggi ne impedisce l’acquisizione ai minorenni di origine straniera che vivono nella penisola: quasi un milione, la metà dei quali nati sul territorio italiano. Cinzia Villanueva è una di loro, nata 26 anni fa a Chieti da genitori peruviani, è ormai vicina al traguardo, è riuscita a ottenerla, deve solo adempiere alle ultime formalità. Ma il suo percorso è stato molto, troppo, lungo.

R. - Da quando sono nata sono considerata una straniera dalla terra che mi ha visto nascere e crescere, che mi ha dato poi anche una certa cultura. Straniera sinceramente non mi sento. Posso avere origini diverse, una storia personale, un passato, famiglia, diversi come tutti noi, però essere italiana mi potrebbe dare anche un riconoscimento (senso d’identità?).

D. - Che cosa sono stati questi 26 anni per te, italiana, senza però che l’Italia ti riconoscesse?

R. – Voleva dire presentarmi periodicamente in questura. E’ stata una forte esperienza personale e psicologica. Finché sei piccolo non capisci, va bene così. Poi, ovviamente, crescendo, con il livello di comprensione che si ha, le cose cambiano. Per e è stato abbastanza forte verso il 2002 con la legge che fu approvata ai tempi, la Bossi-Fini, quando mi vennero perse le impronte digitali: venivi schedato, non riuscivi a capire perché. Per me è stato traumatico, non lo capivo. Perché io se sono nata in Italia devo fare questo tipo di documento, perché devo affrontare tutte queste file, queste trafile, queste veglie all’alba, saltare la scuola…?

La storia di Cinzia, così come quella di altre persone, è raccolta nella mostra “Me, You and everyone we know” promossa dalla ong Cesvi al Museo Pigorini di Roma, dal 27 marzo al 7 aprile. Massimiliano Reggi è l’esperto migrazione di Cesvi.

R. - Il discorso della cittadinanza ai figli di immigrati nati in Italia è innanzitutto un discorso di buon senso, di responsabilità e imprescindibile. Un ragazzo che nasce a Milano e che va a scuola come tutti gli altri, guarda la televisione, usa gli stessi vestiti, ascolta la stessa musica deve avere, di fatto, ma intanto anche nella forma, gli stessi diritti dei suoi coetanei. E questo è un discorso etico, di buon senso, di base. Poi c’è tutta una questione che è quella della cittadinanza sostanziale. L’ottenimento della cittadinanza non esclude il fatto che nel concreto, nel quotidiano, a volte venga meno invece la sostanza della cittadinanza, perché quando al negozio o davanti al datore di lavoro mi trovo uno straniero, spesso, le reazioni e le modalità di reazione sono differenti. Ci sono anche dati statistici che lo dimostrano. Anche dati recenti della Caritas, l’osservatorio sulle migrazioni, ci dicono di stipendi mediamente più bassi a parità di qualifiche per gli stranieri rispetto agli italiani. Sono tutte forme di discriminazioni molto silenziose, nascoste, ancora più fastidiose.

D. - Quindi diciamo che, ad oggi, l’Italia è ancora riserva brutte sorprese sotto il profilo della discriminazione?

R. - Assolutamente sì. Sono state fatte parecchie analisi sia delle testate giornalistiche sia dei media televisivi e si nota che il modo in cui si parla della persona straniera o con un’origine straniera è altamente stigmatizzante. Viene fatta leva proprio sull’appartenenza ad un Paese altro, per esempio, quando si parla di fatti di cronaca. Questo viene costruito nella pratica, nelle retoriche, nei discorsi politici, che alimentano forme allontanamento dell’altro di discriminazione.

In Italia, ricorda il Cesvi, l’immigrazione costituisce un “rimedio”, seppur parziale, al continuo processo di invecchiamento demografico e alla scarsità di manodopera per alcune attività professionali.







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