Al Colosseo la Via Crucis dei giovani libanesi. Il patriarca Raï: un grido di dolore
illuminato dalla speranza
Al Colosseo quest’anno, per la Via Crucis del Venerdì Santo, le meditazioni faranno
conoscere le ansie e le aspettative dei popoli del Medio Oriente. Prima ancora di
rinunciare al ministero petrino, Benedetto XVI aveva chiesto che fossero i giovani
del Libano a dar voce alle stazioni del Calvario di Cristo. Sotto la guida del patriarca
di Antiochia dei maroniti, il cardinale Béchara Boutros Raï, un gruppo di ragazzi
ha sviluppato le meditazioni spirituali, le riflessioni sulle sofferenze del mondo
contemporaneo e le attese di speranza. Tiziana Campisi ha intervistato il cardinale
Béchara Raï:
R. – L’importante
nella Via Crucis è che ognuno possa ritrovarsi nel volto di Cristo e possa aver la
luce e la forza di poter portare la propria croce. Questo è poi il valore delle stazioni:
si chiamano “stazioni”, che significa “fermate” di meditazione personale e comune
con Cristo, il quale riflette la nostra sofferenza e noi troviamo in Lui le luci di
speranza.
D. – Lei ha parlato di sofferenze: quali avete voluto portare alla
luce?
R. – La guerra, la violenza, l’attesa dei giovani che trovano chiusi
gli orizzonti, la sofferenza della migrazione, la mancanza di sicurezza per il futuro
dei giovani e quella dei problemi insolubili: la comunità internazionale non si cura
di trovare soluzioni ai problemi della pace mondiale, della giustizia. Noi nel Medio
Oriente viviamo la grande tragedia della questione palestinese, la tragedia della
guerra in Siria, del vivere in comune con i musulmani, il problema dei fondamentalisti
…
D. – Ci sono molti spunti tratti dalla liturgia orientale e ci sono anche
spunti tratti dall’Esortazione post-sinodale di Benedetto XVI “Ecclesia in Medio Oriente”.
Quanto questa Esortazione vi ha ispirati?
R. – E’ ricca. L’Esortazione apostolica,
in questa chiamata ad essere “uno”, alla comunione, ad aprirsi agli altri, a costruire
ponti con tutti quelli con cui viviamo. Di fatti, nell’Esortazione apostolica la comunione
parte dalla comunione interna, a livello della comunità o della Chiesa, ma anche a
livello delle altre Chiese - cattoliche, ortodosse, protestanti – dei musulmani, degli
ebrei e delle altre religioni con cui viviamo. Questo ha dato molto impulso all’apertura
a vivere in comune. E’ testimoniare l’amore di Cristo. Hanno trovato nell’Esortazione
una grande miniera di idee per poter esprimere le ansie, le preghiere, insieme alla
liturgia orientale: liturgia antiochena, bizantina, siriaca…
D. – Meditazioni
sul dolore, meditazioni sulla sofferenza: eppure aprite le porte alla speranza…
R.
– Certamente, perché siamo sicuri che le “stazioni” non terminano. Di fatti, in molte
delle tradizioni delle nostre Chiese, non terminano con la XIV, ma c’è anche la XV,
ovvero, la Resurrezione. Tutto il valore delle meditazioni e delle sofferenze è perché
arrivano alla domenica: non si fermano a venerdì, ma arrivano fino alla domenica.
Soffriamo, moriamo per resuscitare.
D. – Sinteticamente, qual è il messaggio
che i giovani libanesi intendono far giungere all’umanità?
R. – Il valore della
pace, il grido contro l’ingiustizia, perché i giovani libanesi vedono con i loro occhi
che c’è tanta ingiustizia. Penso che Benedetto XVI profeticamente ha voluto che questi
giovani esprimessero a nome dell’umanità il loro grido di dolore, di speranza e di
giustizia.