La Cappella Paolina, luogo d'avvio del Conclave e di preghiera del nuovo Papa
La processione dei cardinali verso la Cappella Sistina per l'inizio del Conclave ha
preso inizio dalla Cappella Paolina, un altro gioiello dell'arte rinascimentale in
cui sono presenti due capolavori di Michelangelo e luogo dove il nuovo Pontificato
vivrà uno dei suoi momenti iniziali. Ce ne parla Alessandro De Carolis:
Quando il nuovo
Papa vi entrerà da solo – l’onore e l’onere più grandi del mondo da pochi minuti poggiati
sulle sue spalle – se li troverà accanto, Pietro a destra e Paolo a sinistra, la pietra
e il fuoco, a ricordargli i due supremi doveri del suo nuovo ministero: confermare
la fede della Chiesa e annunciare il Vangelo alle genti. Inizierà da qui, in ginocchio
e in raccoglimento tra gli affreschi e gli stucchi policromi della Cappella Paolina,
la missione del nuovo Successore di Pietro. Un luogo di preghiera e d’arte a pochi
metri dalla Sistina, che Paolo III fece costruire tra il 1537 e il 1540 da Antonio
da Sangallo. Ma soprattutto un luogo idealmente legato alla Cappella Sistina dal fatto
di ospitare la stessa mano del genio ormai settantenne, Michelangelo Buonarroti, che
sulle due pareti laterali, uno di fronte all’altro, dipinse nell’arco di otto anni,
tra il 1542 e il 1550, la Crocifissione di San Pietro e la Conversione di
Saulo.
Si tratta di due scene di massa, che a un generico colpo d’occhio
richiamano l’assembramento di corpi del Giudizio Universale. Ma qui, spiegano
gli esperti, Michelangelo non organizza lo spazio in maniera coerente, preferendo
una disposizione delle figure che suggerisce in chi guarda grande concitazione. In
entrambi i casi, Michelangelo fotografa l’istante di un dramma. Nella scena di San
Paolo, prevale il senso di panico per quella folgore scagliata dall’alto dalla mano
di Cristo in direzione di Saulo, che è a terra, il braccio sinistro levato a protezione
del viso, e a fianco il cavallo che si impenna imbizzarrito, mentre chi è attorno
guardo sconvolto il cielo. Nella Crocifissione di Pietro, la tensione non è nei corpi
ma tutta negli sguardi degli astanti. Occhiate cupe, oblique, rassegnate serpeggiano
verso chi guarda il dipinto o fanno da corona al legno rovesciato, posto in diagonale,
sul quale il primo degli Apostoli sta per essere alzato.
Immaginiamo che a
colpire gli occhi del nuovo Papa saranno soprattutto i visi dei due Apostoli. Quello
accecato dalla luce divina eppure sereno di Paolo, ritratto anacronisticamente con
le fattezze di un uomo anziano – cioè trasformato in un “adulto” della fede – e quello
teso e accigliato di Pietro, ritratto in una singolare torsione del busto in alto
e all’indietro, che lo porta a lanciare uno sguardo teso alle proprie spalle. Nel
celebrare la riapertura della Cappella Paolina nel 2009, al termine di un ciclo di
restauri, Benedetto XVI diede una spiegazione magistrale di quei due volti. Entrambi
disse, “stanno l’uno di fronte all’altro. Si potrebbe anzi pensare che quello di Pietro
sia rivolto proprio al volto di Paolo, il quale, a sua volta, non vede, ma porta in
sé la luce di Cristo risorto. E’ come se Pietro, nell’ora della prova suprema, cercasse
quella luce che ha donato la vera fede a Paolo. Ecco allora che in questo senso le
due icone possono diventare i due atti di un unico dramma: il dramma del Mistero pasquale:
Croce e Risurrezione, morte e vita, peccato e grazia. L’ordine cronologico tra gli
avvenimenti rappresentati è forse rovesciato, ma emerge il disegno della salvezza”.
E concludeva, quasi presago della preghiera stabilita per il nuovo Papa nella cappella
palatina: “Qui non si fanno solenni celebrazioni con il popolo. Qui il Successore
di Pietro e i suoi collaboratori meditano in silenzio e adorano il Cristo vivente”.