Myanmar, ieri il primo Congresso del partito della San Suu Kyi
Quasi 900 membri della Lega nazionale per la democrazia, il partito della leader pro-democratica
birmana, Aung San Suu Kyi, si sono radunati ieri a Rangoon per eleggere i leader del
movimento. Il fatto stesso che il partito sia stato autorizzato per la prima volta
a organizzare il Congresso è un segno delle riforme politiche introdotte recentemente
nel Paese. Si tratta inoltre di un test per la Lega, che sta lavorando per trasformarsi
in un movimento di opposizione strutturato, prima delle elezioni in programma nel
2015. Del significato di questo appuntamento, e dei cambiamenti in atto in Myanmar,
Fausta Speranza ha parlato con Raffaele Marchetti, docente di relazioni
internazionali all’Università Luiss di Roma:
R. - Certamente,
il partito di San Suu Kyi sta ottenendo un riconoscimento sempre maggiore anche all’interno
del Paese: ha partecipato alle elezioni, ha vinto un numero interessante e significativo
di seggi. Questa riunione è un tassello in più nella legislazione interna del partito.
Ciò non significa che sia un partito che oggi può aspirare a governare il Paese, che
al momento è ancora nelle mani dei militari. Però, appunto, è un cammino, fatto di
piccoli passi, che sta andando avanti. Ci sono cambiamenti in corso e questi sono
significativi. Naturalmente, non possiamo aspettarci una radicale trasformazione del
Paese in tempi brevi, però quello che dobbiamo dire è che ci sono forze, motivi e
interessi che stanno spingendo sempre più per una ristrutturazione del Paese in termini
politici ma anche economici.
D. - Che significato ha in tutta l’area, nell’equilibrio
geopolitico della regione, questo cambiamento che sta avvenendo in Myanmar?
R.
- Questo ha un significato molto profondo. Devo dire che in qualche modo le logiche
geopolitiche regionali stanno influenzando questo cambiamento: ci sono dei fattori
esterni che stanno spingendo il regime a cambiare. Certamente, c’è un crescente interesse
e disponibilità dell’Occidente, degli Stati Uniti in primis - ricordiamo il viaggio
prima di Hillary Clinton, di Obama - e poi anche dell’Unione Europea a sostenere
questo processo di transizione da parte occidentale che ha che vedere con motivi economici.
Il Myanmar è un Paese con grandi potenzialità economiche in termini di risorse naturali
e di sviluppo industriale, ma ha anche un significato geopolitico. Proprio perché
è stato in qualche modo marginalizzato in questi anni, il Myanmar si è ritrovato a
costruire legami sempre più intensi con l’India, ma poi soprattutto con la Cina. Questo
tipo di aperture occidentali vogliono in qualche modo ribilanciare l’orientamento
del Myanmar anche verso l’Occidente e quindi a scapito del rapporto privilegiato con
la Cina. Questo tipo di strategia occidentale mira anche a ridimensionare la proiezione
regionale della Cina. Da un lato, il Myanmar ha un interesse a stabilire rapporti
con l’Occidente, perché questo, in qualche modo, lo rende un po’ più autonomo nei
confronti della Cina. E poi oltre agli Stati Uniti e all’Europa, ci sono gli altri
Paesi dell’Asean, - che hanno concesso al Myanmar nel 2014 di presiedere l’organizzazione
- che hanno interessi a limitare una presenza sempre più massiccia della Cina nel
Myanmar.