Centinaia di migliaia di persone in corteo dietro al feretro del presidente e salve
di cannone ripetute ogni ora fino all'apertura della camera ardente. Questo è l'omaggio
riservato dai venezuelani a Hugo Chávez, durante la lunga giornata di lutto di ieri
a Caracas, seguita alla scomparsa del leader martedì scorso. Diversi capi di Stato
internazionali sono in procinto di giungere nella capitale del Venezuela per prendere
parte alle esequie di domani. Si moltiplicano intanto le "letture" su ciò che la figura
di Chavez abbia rappresentato non solo per il suo Paese ma anche nel panorama mondiale.
Francesca Sabatinelli ha chiesto un'opinione al giornalista Maurizio Stefanini,
esperto di America Latina per la rivista di geopolitica Limes:
R. - Chávez
è stato l’ultimo esemplare di quella particolare "fauna" politica, tipica dell’America
Latina, che in qualche modo si ricollega a tradizioni più antiche - addirittura risalenti
all’epoca dell’antica Roma - del Caudillo, cioè un leader popolare, che allo
stesso tempo è capo politico e capo militare, che manovra il popolo tipicamente contro
un’oligarchia o contro dei ceti possidenti, non tanto in un’ottica di capopopolo -
eletto dal popolo - ma di garante che utilizza in parte il popolo. Però, Chavez non
è stato solo quello, perché è stato un personaggio di straordinario eclettismo. Nel
suo profilo ideologico c’è il "caudillismo", c’è la teologia della liberazione, c’è
un certo tipo di marxismo non ortodosso ma popolare, che in America Latina era fuso
con il nazionalismo locale. Lui ha miscelato tutto questo, creando queste etichette
del socialismo del 21.mo secolo. Da una parte, ha utilizzato come capitale politico
l’antiamericanismo, che è sempre una potente risorsa in America Latina in quanto gli
Stati uniti sono un vicino potente, ingombrante. Tuttavia, pur continuando a presentarsi
come un leader del nazionalismo latino americano anti-yankee, di fatto ha mantenuto
non solo rapporti economici eccellenti con gli Usa, ma ha avuto questi ultimi come
principale finanziatore, in quanto tutto il suo "eclettismo" geopolitico e politico,
tutto il margine di consenso esterno ed interno, Chávez l’ha mantenuto grazie ai petrodollari
che gli americani hanno continuato a versargli. Gli Stati Uniti sono rimasti il principale
mercato del petrolio venezuelano. Presentandosi come l’alfiere di un modello alternativo
al nuovo ordine mondiale a guida statunitense, ha cercato in qualche modo di mettere
insieme un network, una rete di Paesi che in qualche modo si contrapponesse. Quindi,
lui ha cercato da una parte di creare un’unità latino-americana mettendo insieme governi
di sinistra, facendo poi riferimento a potenze emergenti come la Russia e la Cina,
a questi Paesi un po’ marginali a quell'“asse del male”, rappresentato (secondo George
Bush - ndr) dll'Iran, dalla Cuba di Fidel Castro, da Corea del Nord e Siria.
D.
- Ma Chavez invece per il Venezuela, cosa è stato? In che condizioni lascia questo
Paese?
R. - Da una parte, si può ritenere che comunque sia riuscito a fare
dei grandi investimenti a favore dei ceti meno favoriti. Sotto un altro punto di vista,
si potrebbe in qualche modo anche accusarlo di aver distrutto l’imprenditoria. Ci
sono anche altri governanti in America Latina che si sono ispirati al socialismo del
21.mo secolo di Chávez, come ad esempio, Evo Morales in Bolivia, o Rafael Correa in
Ecuador. Un dato che probabilmente si osserva poco, è che mentre la Bolivia di Evo
Morales e l’Ecuador di Rafael Correa hanno una buona situazione economica, il Venezuela
di Chávez non ha mai visto un “decollo”. Nel 2010, quando l’America Latina ha conosciuto
il boom, il Venezuela ha vissuto invece una fase di recessione e poi si è ripreso,
però il Paese ha lo storico problema di considerare l’economia fortemente legata al
petrolio, ciò che in qualche modo riduce il margine di protagonismo dell'economia
stessa. Poi, c’è il problema legato al fatto che è il potere politico che controlla
il petrolio, che in qualche modo poi riesce a controllare tutto e a manipolare il
consenso. Chávez ha cambiato un po’ le cose. C’è stata una maggiore distribuzione,
c’è stata sicuramente una certa riduzione del margine di democrazia in Venezuela -
ricordando che comunque lui è sempre stato eletto, le elezioni ci sono sempre state
- c’è stata una certa stretta autoritaria, ma comunque il Venezuela è sempre rimasto
un Paese sostanzialmente democratico.
D. - Citavi Paesi più vicini a Chávez.
Adesso, con l’uscita di scena di questo importante leader, ci potrebbero essere delle
ricadute su Paesi come l’Ecuador?
R. - L’Ecuador potrebbe avere una ricaduta
nel senso che Correa è considerato il possibile erede di Chávez, nel ruolo di leader
di questo blocco di Paesi, proprio perché, come Chávez, anche lui è un economista,
ha un certo profilo di capacità. Chávez ha ridistribuito una quantità enorme di denaro
tra alleati, clienti, ecc. Evidentemente già nel momento in cui si è iniziato a creare
il problema della sua salute, si è subito creata preoccupazione tra tutti questi Paesi
beneficiari. Il problema diventa della continuità: l’alleanza chavista riuscirà con
questi eredi che non hanno il suo carisma a rimanere al potere?