Siria: apprensione per i 21 caschi blu dell’Onu rapiti da un gruppo ribelle
Cresce l’apprensione per i 21 Caschi blu di nazionalità filippina, rapiti mercoledì
da un gruppo ribelle siriano sulle alture del Golan, nonostante giungano rassicurazioni
sul loro stato di salute. Il servizio di Salvatore Sabatino:
Non faremo del
male ai caschi blu dell’Onu, ma l’esercito di Assad deve ritirarsi dal villaggio di
Jamla. Questa la condizione posta dai sequestratori, appartenenti al gruppo dei “martiri
di Yarmuk” per la loro liberazione. I militari sono tutti di nazionalità filippina
e il governo di Manila è intervenuto prontamente, chiedendone l’immediato rilascio.
Lo stesso aveva fatto poco prima il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon. Intanto,
infuriano anche oggi le battaglie, soprattutto a Raqqah, dove ieri ci sono stati oltre
30 morti. E spunta un video in cui sarebbero visibili combattenti ceceni, giunti nel
Paese per sostenere i ribelli. E la crisi che impatta sui Paesi limitrofi: il governo
iracheno ha chiuso un valico di frontiera con la Siria nella provincia di Ninive,
dopo gli sconfinamenti degli scontri dei giorni scorsi e la morte di alcuni militari
di Baghdad, mentre in Turchia è polemica dopo la rissa di stamattina nel parlamento
di Ankara, dopo che un deputato dell’opposizione ha criticato la politica "muscolare"
di Erdogan nei confronti di Assad.
Sono sempre di più i rifugiati che fuggono
dalle violenze. Secondo l’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati, si tratta di "un
disastro su larga scala“, con un milione di siriani che hanno lasciato il Paese, la
metà dei quali bambini. Francesca Sabatinelli ha intervistato Reem Alsalem,
portavoce di Unhcr in Libano:
R. – The number
of people who have registered or are waiting registration… Il numero delle persone
che si sono registrate, o che stanno aspettando ancora di essere registrate, ha toccato
oggi il milione. Noi sappiamo però che il numero dei siriani dev’essere molto, molto
più alto di questo, perché ci sono molti che ancora non sono arrivati al luogo della
registrazione o che mai si registreranno. Quello che l’Alto Commissariato ha fatto,
in realtà, è suonare l’allarme perché questa situazione rappresenta la grave crisi
umanitaria causata dalla guerra in Siria. Oltre a questo milione di profughi all’estero,
ci sono quattro milioni di persone all’interno della Siria – e queste sono stime prudenti
– che hanno bisogno di assistenza. Ora, se si aggiungono quattro milioni di persone
all’interno della Siria al milione di persone che si trova fuori dal Paese, stiamo
parlando di cinque milioni di persone che rappresentano il 20% della popolazione siriana.
E queste, come ho detto, sono stime prudenti, perché noi non abbiamo accesso a molte
zone della Siria. Tutto questo dimostra che siamo arrivati a un punto cruciale della
crisi siriana.
D. – Quali sono le condizioni fisiche e psicologiche di queste
persone?
R. – We have to remember that this is really a refugee crisis women
and children… Dobbiamo ricordarci che questa crisi di rifugiati riguarda sostanzialmente
donne e bambini. Oltre il 60% dei rifugiati sono donne e bambini: noi li accogliamo
nei punti di valico tra con la Giordania, li incontriamo anche pochi giorni dopo il
loro arrivo in Libano… Quella che vediamo è una situazione veramente tragica. Molti
arrivano feriti, o soffrono di gravi problemi di salute, vengono con i vestiti che
indossano, hanno pochissimo denaro. Alcuni hanno viaggiato per giorni e in situazioni
di pericolo, altri sono stati feriti con arma da fuoco mentre cercavano di uscire
dalla Siria. Quando arrivano, sono molto preoccupati per i familiari rimasti nel Paese.
I bambini, in particolare, hanno visto cose che nessun bambino a quell’età dovrebbe
vedere: l’uccisione di membri della famiglia, la distruzione delle loro case. E’ evidente
il trauma che hanno sofferto: bagnano il letto, sono molto chiusi, non vogliono parlare
con nessuno e quando lo fanno manifestano comportamenti aggressivi. E’ una situazione
veramente molto triste. Loro vengono senza sapere cosa il futuro riservi loro: molti
non sanno per quanto tempo saranno rifugiati e non c’è nessuno che possa sostenerli.
Trovare un alloggio nei Paesi di accoglienza è per loro una grande sfida. Ovviamente,
oltre il 60% dei rifugiati vive fuori dai campi e ho visto con i miei occhi oltre
20 famiglie affollare un singolo edificio, in condizioni igienico-sanitarie molto
limitate, in Libano come in Giordania. Detto questo, bisogna però ricordare anche
che le comunità del Libano e della Giordania sono state di una generosità estrema,
aprendo le loro case alle famiglie e condividendo le loro povere risorse, il pane
e l’acqua, con le famiglie siriane. Forse, però, tutto questo non riuscirà a indurre
la comunità internazionale a rendersi conto che questa non può essere una situazione
duratura: se queste condizioni si protrarranno, senza fondi adeguati, la Giordania,
il Libano, perfino la Turchia e l’Iraq – che pure hanno i loro problemi – non saranno
in grado di tenere aperte le loro frontiere e crolleranno di fronte a tale pressione.
D.
– Questo sarà il risultato dei mancati finanziamenti?
R. – Exactly. The Un
and the humanitarian Ngos and agencies have asked… Esatto. A dicembre 2012, le
Nazioni Unite e le organizzazioni non governative e le agenzie umanitarie hanno chiesto
un miliardo di dollari per rispondere alle esigenze di base dei rifugiati fino a giugno.
Purtroppo, di questo miliardo di dollari che abbiamo chiesto – la più grande richiesta
di aiuti umanitari della storia – ne abbiamo ricevuto soltanto il 25%. Qualche cosa
sta entrando, ma come le ho detto, questo disastro umanitario sta crescendo a un ritmo
così veloce che per rispondere con la stessa velocità, la comunità internazionale
dovrebbe contribuire altrettanto velocemente. Se oggi non riusciamo ad avere i fondi
necessari, veramente non saremo in grado di affrontare le esigenze più elementari.
E quando dico “elementari”, non sto parlando di operazioni umanitarie di gran lusso:
parliamo di riuscire a fornire i 20 litri di acqua, le 2.000 calorie di cui le persone
hanno bisogno, una coperta, una tenda. Se non riusciremo a ottenere altri fondi, dovremo
addirittura stabilire delle priorità tra i più vulnerabili e lasciare fuori da questo
piano di emergenza tutti gli altri.