2013-03-07 15:28:28

Benedetto XVI: sperare in Dio è credere in un'umanità nuova che vive sulla terra


La transizione che sta vivendo la Chiesa in questi giorni di Sede vacante, con il suo senso di attesa e gli interrogativi di tante coscienze, porta in evidenza l’esigenza e il valore della speranza. Speranza, che è poi una certezza, che sia Dio a realizzare i suoi progetti in questa nuova stagione che si apre. Alla speranza, Benedetto XVI ha dedicato l’Enciclica Spe salvi e numerose riflessioni nel corso del suo magistero. Alessandro De Carolis ne rievoca alcune in questo servizio:RealAudioMP3

“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Basta accendere la tv in qualsiasi momento della giornata o navigare su qualche sito di informazione per ascoltare quel grido, lanciato duemila anni fa in aramaico dalla Croce, rimodulato anche oggi nei mille idiomi del pianeta terra. Le urla che arrivano dai tanti “sud” del mondo – che in scala ridotta ma non meno dolente sono spesso le emarginazioni di una periferia urbana, di una disabilità ignorata, di un immigrato rifiutato, di una famiglia spezzata – sono in certo modo tutti eco del grido del Golgota. Ed è proprio alla scena del Calvario – ha più volte indicato Benedetto XVI – che i calvari della nostra epoca devono guardare, a Cristo che si sente abbandonato e che l’istante dopo si abbandona al Padre, trasformando la disperazione più abissale nella speranza che non ha fine:

“Gesù che nel momento estremo della morte si affida totalmente nelle mani di Dio Padre, ci comunica la certezza che, per quanto dure siano le prove, difficili i problemi, pesante la sofferenza, non cadremo mai fuori delle mani di Dio, quelle mani che ci hanno creato, ci sostengono e ci accompagnano nel cammino dell’esistenza, perché guidate da un amore infinito e fedele”.
(Udienza generale, 15 febbraio 2012)

Ma anche per un cristiano è difficile fare totalmente spazio a Dio. Così la fede – quella che si traduce poi, e molto spesso no o in modo sbiadito, nei comportamenti quotidiani – è vittima di uno “spread” tra il suo dover essere e ciò che in realtà è:

“La nostra speranza è in Dio, non nel senso di una generica religiosità, o di un fatalismo ammantato di fede. Noi confidiamo nel Dio che in Gesù Cristo ha rivelato in modo compiuto e definitivo la sua volontà di stare con l’uomo, di condividere la sua storia, per guidarci tutti al suo Regno di amore e di vita. E questa grande speranza anima e talvolta corregge le nostre speranze umane”. (Angelus, 3 gennaio 2010)

La “grande speranza” che “corregge” le piccole speranze umane vuol dire – ha spiegato concretamente Benedetto XVI – che…

“…la speranza cristiana va oltre la legittima attesa di una liberazione sociale e politica, perché ciò che Gesù ha iniziato è un’umanità nuova, che viene ‘da Dio’, ma al tempo stesso germoglia in questa nostra terra, nella misura in cui essa si lascia fecondare dallo Spirito del Signore”. (Angelus, 7 dicembre 2008)

Inoltre, un cristiano non spera solo per sé stesso, ma “spera” anche per gli altri, “e soltanto così – afferma Benedetto XVI – la speranza diventa “veramente” tale anche per lui:

“Si tratta perciò di entrare pienamente nella logica della fede: credere in Dio, nel suo disegno di salvezza, ed al tempo stesso impegnarsi per la costruzione del suo Regno. La giustizia e la pace, infatti, sono dono di Dio, ma richiedono uomini e donne che siano ‘terra buona’, pronta ad accogliere il buon seme della sua Parola”. (Angelus, 7 dicembre 2008)







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