Prima domenica senza l'Angelus di Benedetto XVI, recitato 455 volte con milioni di
fedeli
Dopo la rinuncia al ministero petrino di Benedetto XVI e l’inizio della Sede vacante,
domenica scorsa è stata la prima senza la recita dell’Angelus. Dal primo Regina
Caeli del primo maggio 2005, all’ultimo Angelus dello scorso 24 febbraio, si contano
a milioni le persone che ogni domenica, in Piazza San Pietro e qualche volta altrove,
hanno atteso Benedetto XVI per ascoltarlo e recitare con lui la preghiera mariana
di mezzogiorno. In otto anni, per 455 volte, quel momento è diventato un’occasione
privilegiata per il Papa, ora emerito, di accostarsi ai fedeli come maestro di fede
solido e comprensibile. Un guida che fin da subito ha chiarito su quali fondamenta
avrebbe poggiato il suo magistero. Alessandro De Carolis lo ricorda in questo
servizio:
“La parola
che riassume tutta la rivelazione è questa: Dio è amore”.
È domenica 22
maggio 2005 quando Benedetto XVI pronuncia questa frase, nel suo primo Angelus dalla
finestra del Palazzo Apostolico vaticano. In realtà, dalla sua elezione, è la quarta
volta che ripete quel gesto – definito al suo primo apparire “un’amabile consuetudine”
– ma nelle tre volte precedenti si è trattato di un Regina Caeli, la preghiera
che nel periodo di Pasqua sostituisce l’Angelus, e in quei casi le sue brevi considerazioni
sono state dedicate a temi contingenti, come la Festa del lavoro, la Giornata delle
comunicazioni sociali e così via. È soprattutto in quel 22 maggio che comincia invece
a prendere forma la funzione e il valore che Benedetto XVI attribuisce a quei 10 minuti
di mezzogiorno: offrire una piccola “omelia” sulla liturgia del giorno, la lectio
divina in forma breve con cui ogni domenica, nella chiesa a cielo aperto di Piazza
San Pietro, il Papa teologo si fa “parroco” per chi si ferma ad ascoltarlo giù tra
la folla o davanti alla tv, dalla radio o in streaming via web. In quell’Angelus-“pilota”
del 22 maggio 2005, Solennità della Santissima Trinità, il nuovo maestro mette subito
in luce il nucleo della fede cristiana e insieme – e lo dimostrerà anche la sua prima
Enciclica Deus caritas est – il fulcro della sua stessa spiritualità:
“La
parola che riassume tutta la rivelazione è questa: ‘Dio è amore’; e l’amore è sempre
un mistero, una realtà che supera la ragione senza contraddirla, anzi, esaltandone
le potenzialità”.
“Dio Amore”, fede e ragione a confronto: c’è già in questa
affermazione l’essenza del magistero che si svilupperà negli anni a venire. Le parole
successive sul mistero trinitario – “Gesù ci ha rivelato il mistero di Dio: Lui, il
Figlio, ci ha fatto conoscere il Padre che è nei Cieli, e ci ha donato lo Spirito
Santo, l’Amore del Padre e del Figlio” – potrebbero essere ascoltate in un’aula di
catechismo. Non la considerazione che segue, che dimostra un’altra dote che i fedeli
impareranno ad apprezzare di Benedetto XVI, indiscusso maestro nel saper portare i
vertici e gli abissi dello spirito al livello dell’anima più semplice:
“La
teologia cristiana sintetizza la verità su Dio con questa espressione: un'unica sostanza
in tre Persone. Dio non è solitudine, ma perfetta comunione. Per questo la persona
umana, immagine di Dio, si realizza nell’amore, che è dono sincero di sé”.
Altre
sei righe e un’altra colonna portante. Dall’altare della sua finestra sul mondo, il
Papa maestro cede il passo al Papa custode della fede. Non quell’arcigno guardiano
fin lì troppo spesso descritto, in modo prevenuto, da una vulgata mediatica che ama
pontificare sul Pontefice senza conoscerlo, ma il difensore gentile che invita con
ferma lucidità i cristiani a non farsi contagiare nella pratica religiosa dal relativismo
montante:
“Ogni parrocchia è chiamata a riscoprire la bellezza della Domenica,
Giorno del Signore, in cui i discepoli di Cristo rinnovano nell’Eucaristia la comunione
con Colui che dà senso alle gioie e alle fatiche di ogni giorno. ‘Senza
la Domenica non possiamo vivere’: così professavano i primi cristiani,
anche a costo della vita, e così siamo chiamati a ripetere noi oggi”.
Per
455 volte, dal 2005 al 2013, Benedetto XVI, maestro umile e custode illuminante, appare
da dietro la tenda della sua finestra – o talvolta stando sull’altare alla fine di
una Messa solenne, o durante un viaggio apostolico, o circondato dai monti durante
il riposo estivo – per spiegare e insegnare la “gioia dell’essere cristiani” e concludere
con l’“Angelus nunziavit Mariae”. Nel giorno in cui la finestra resta chiusa e il
mezzogiorno rintocca senza sottofondo di applausi, tra le colonne del Bernini – dove
alla fine lo avranno ascoltato in più di 10 milioni – resta il riverbero di tanti
pensieri profondi, dipanati in modo compiuto già da quel 22 maggio 2005. E resta l’eco
dell’ultimo commiato, dell’umile maestro di fede che anche oggi avrà sostenuto la
Chiesa con la forza di un Angelus, pregato di nascosto al mondo ma non a Dio:
“Vi
ringrazio per l’affetto e per la condivisione, specialmente nella preghiera, di questo
momento particolare per la mia persona e per la Chiesa. A tutti auguro una buona domenica
e una buona settimana. Grazie! In preghiera siamo sempre vicini. Grazie a voi tutti!
Angelus nuntiavit Mariae…”