Scontri in Egitto, l'opposizione rifiuta incontro con l'inviato Usa, Kerry
In Egitto, non si placano le proteste contro il presidente Morsi. Un uomo è morto
e decine di persone sono rimaste ferite negli scontri tra polizia e manifestanti avvenuti
nella notte a Mansoura, a nord del Cairo. E nella capitale in serata arriverà il segretario
di stato Usa, John Kerry, per una serie di incontri con i leader egiziani e il segretario
della Lega Araba, Nabil Elaraby. Ma l’invito a incontrare il capo della diplomazia
americana è stato respinto dai due principali esponenti dell’opposizione, Hamdin Sabahi
e Mohamed el Baradei, per protesta contro le posizioni americane giudicate troppo
compiacenti nei confronti del presidente Morsi. Sul significato di questa difficile
missione diplomatica, Marco Guerra ha sentito l'opinione di Luciano Ardesi,
esperto di Nord Africa:
R. - Kerry è
soprattutto preoccupato del rischio della destabilizzazione nel Paese. Vorrebbe, inoltre,
rinsaldare col presidente Morsi un’interlocuzione che si è fatta più intensa nell’ultimo
anno, soprattutto dopo il ruolo giocato da Morsi nella risoluzione della crisi di
Gaza, lo scorso anno. Quindi, l’Egitto è visto come un partner affidabile nello scacchiere
mediterraneo e mediorientale. Gli Stati Uniti sono preoccupati dalla possibilità che
questo interlocutore si indebolisca e non possa giocare un ruolo determinante come
è sempre stato storicamente quello dell’Egitto in quell’area.
D. - Si assiste
a una contrapposizione sempre più "muscolare" tra Fratelli musulmani e opposizione
laica, che sfocia quasi quotidianamente in violenze di piazza. E’ possibile arrivare
a una soluzione o dobbiamo aspettarci una escalation della crisi?
R.
- La presa di posizione delle opposizioni, o quantomeno della maggiore forza di opposizione,
il Fronte di salvezza nazionale, fa pensare a una escalation nelle tensioni,
nelle proteste di piazza e quindi anche nelle violenze e nella risposta violenta da
parte del potere egiziano. Ci sono elementi, all’interno del parlamento - piuttosto
isolati per la verità - che cercano ancora di gettare ponti tra la fratellanza musulmana
e le opposizioni. Certo, ma è un tentativo molto difficile. In questo momento, è più
facile prevedere uno scontro sempre più aperto tra il potere e le opposizioni.
D.
- Fra le altre cose, l’opposizione intende boicottare le elezioni parlamentari che
si dovrebbero svolgere a partire dal 22 aprile, in quattro fasi. Alla fine si riuscirà
ad andare al voto?
R. - Mi sembra che il presidente Morsi sia deciso ad andare
comunque al voto, così come le opposizioni del Fronte di salvezza nazionale sono decise
a boicottarlo. E’ chiaro che questo è, probabilmente, il maggior fattore di tensione
che si annuncia in un prossimo futuro.
D. - Lo stallo egiziano può avere ripercussioni
sulla stabilità di tutta la regione, già messa alla prova da altri annosi dossier,
come quello siriano e palestinese?
R. - L’andata al potere di Morsi aveva fatto
pensare ad un Egitto finalmente stabilizzato, dopo la caduta di Mubarak. Si pensava
che l’Egitto potesse riprendere il proprio ruolo nel Medio Oriente e nel Mediterraneo
e quindi sia nella questione palestinese, sia anche nella questione siriana. La crisi
politica prolungata - ormai da un anno - in Egitto metterà a dura prova la capacità
del Paese di giocare ancora un ruolo determinante. Però, sia per la posizione geografica,
sia per il peso demografico è chiaro che l’Egitto continuerà comunque a essere un
interlocutore indispensabile per la soluzione di quelle crisi e in modo particolare
in quella palestinese e in quella siriana.