Congo. L'esercito riconquista due città nel Nord-Kivu. Mons. Ambongo: popolo sfinito
dalla guerra
Non si fermano le violenze nell’Est della Repubblica Democratica del Congo: sono migliaia
i civili in fuga dai combattimenti tra due diverse fazioni del movimento ribelle M23.
Gli scontri si aggiungono a quelli tra esercito regolare e un altro gruppo armato
che hanno già provocato 36 morti nel Nord-Kivu: qui l'esercito ha riconquistato le
città di Rutshuru e di Kiwanja, occupati nel luglio scorso da M23. Davide Maggiore
ha chiesto a mons. Fridolin Ambongo, vescovo di Bokungu-Ikela, se nel Paese
c’è ancora speranza nella tenuta degli accordi di pace firmati solo la scorsa settimana
ad Addis Abeba:
R. – C’è speranza
di pace per il nostro Paese. I gruppi ribelli sono forti. I problemi fra i due gruppi
non sono a livello nazionale e non si può rimettere in discussione l’accordo di pace
che hanno firmato ad Addis Abeba. Nel territorio di Rutshuru, c’è stato un problema
di leadership in M23, fra il gruppo che stava con Jean Bosco Ntaganda e gli altri
che non lo vogliono. A Ovest la situazione è abbastanza tranquilla ma la sofferenza
a livello economico è uguale per tutti perché la situazione a Est ha conseguenze su
tutto il Paese. Quasi il 30 per cento dell’economia è per la guerra, invece di essere
usata per lo sviluppo del Paese. Se non ci fosse questa guerra, il governo potrebbe
concentrarsi sullo sviluppo del Paese e così portare anche benessere al popolo.
D.
– Quindi il problema politico all’Est del Congo è solo una parte del problema?
R.
- Il problema del Congo ha due aspetti. Un aspetto internazionale, con i problemi
che vengono dai Paesi vicini, anzitutto Ruanda e Uganda. Il secondo aspetto è, a livello
interno, l’assenza di un dialogo politico fra i congolesi. I congolesi devono incontrarsi
e poi fare un’analisi della situazione politica e cercare insieme una via per uscire
da questa crisi.
D. - Alla fine della guerra civile congolese, la Chiesa ha
svolto un ruolo molto importante per la riconciliazione. Ci sono possibilità che possa
farlo anche nell’eventualità che questo dialogo inizi?
R. – Noi siamo molto
prudenti, per non entrare in un ruolo politico che non è il nostro. Noi vogliamo sempre
svolgere un ruolo profetico, che è il nostro. Noi siamo lì per vegliare, per vedere
il pericolo per il popolo e anche informare il popolo, e così i politici possono vedere
fra di loro come fare per evitare questo pericolo. Lì è il nostro ruolo. Quando ci
incontriamo facciamo sempre una dichiarazione sulla situazione del Paese e vediamo
anche le vie per uscire da questa situazione.
D. - Come le popolazioni del
Congo vivono questa situazione di guerra continua? Qual è la loro condizione, quali
sono i loro bisogni, quali sono le loro speranze?
R. – Prima cosa, il popolo
è stanco, stanchissimo, con tutte queste guerre che non finiscono. Il futuro del Paese
non si vede bene… Dopo due, tre, anni di pace, un altro gruppo comincia con la guerra…
Il popolo chiede solo la pace per potere lavorare, ma non si scoraggia, c’è sempre
una speranza di pace per il Paese. Noi, come Chiesa cattolica, ci crediamo fortemente
e così lavoriamo per la pace.