Vertice degli "Amici della Siria" a Roma: "Assad lasci al più presto le armi"
Gli “Amici della Siria” ripartono da Roma per disegnare il futuro della Siria. I ministri
degli Esteri degli 11 Paesi del gruppo sostenitore della coalizione nazionale siriana
si mostrano compatti e chiedono la fine delle violenze e le dimissioni del presidente
Assad. Intanto gli Usa stanziano altri 60 milioni di dollari per aiuti umanitari,
attraverso cui sostenere il cambiamento. Nelle stesse ore una forte denuncia giunge
dall’alto commissariato Onu per i Rifugiati per una situazione umanitaria sempre più
drammatica. Di Salvatore Sabatino:
UNITI CONTRO ASSAD – Tre ore
di colloqui serrati per un’unità di intenti totale. Il vertice “Amici della Siria”,
tenutosi stamattina a Roma, chiude i battenti con un messaggio chiaro, indirizzato
ad Assad, che “deve lasciare” al più presto le armi, mettendo la parola fine alla
strage quotidiana. Lo dice il ministro degli Esteri italiano, Giulio Terzi – padrone
di casa – lo dice il segretario di Stato americano, John Kerry, e lo ripete una terza
volta – con toni più accesi – il capo della coalizione nazionale siriana Moaz Al-Khatib.
Nessuna divisione, dunque, nemmeno frizioni diplomatiche tra le delegazioni degli
11 Paesi “amici della Siria” presenti a Villa Madama, con gli Stati Uniti che scendono
in campo e subito assumono la guida del fronte anti-Assad.
UNA “NUOVA” FASE
PER SIRIA- ''Una chiara determinazione a fare un passo avanti'' nel sostegno e
negli aiuti all'opposizione siriana, in un incontro “importante e positivo”. Il ministro
degli Esteri italiano, Giulio Terzi, apre l’incontro con la stampa puntando sui risultati
raggiunti, sul senso di unione che si è respirato durante la riunione. Sul punto di
partenza di una nuova fase, che mette da parte il gioco di veti incrociati che ha
determinato un’imbarazzante impasse e volta la pagina della storia. Perché il mondo
non può più restare indifferente di fronte ad una tale carneficina e deve agire con
concretezza.
NIENTE ARMI DA WASHINGTON – La popolazione siriana paga
un prezzo altissimo in seguito alla guerra. E da troppo tempo. E’ il momento di dire
basta e di agire concretamente, mettendo in campo tutte le proprie forze per aiutare
chi soffre. Il neo segretario di Stato americano, John Kerry, entra subito nel merito
e lo fa annunciando uno stanziamento statunitense pari a 60 milioni di dollari. Fondi
da mettere immediatamente a disposizione della Coalizione nazionale siriana, riconosciuta
ufficialmente quale rappresentante unico della Siria. Aiuti materiali che hanno un
doppio ruolo: distribuire viveri e garantire assistenza medica e nel contempo “modificare
gli equilibri sul terreno”. In sostanza la comunità internazionale “coordinerà gli
sforzi” per tutelare i più deboli – i civili – e per “sostenere il Comando militare
supremo dell'Esercito libero, affinché possa esercitare la legittima autodifesa”.
Una risposta a quella che viene definita la “continua brutalità di Assad”, sostenuto
“da Hezbollah e dall’Iran”. “Il tempo per Assad è scaduto, ora deve lasciare il Paese”,
dice perentorio il capo della diplomazia statunitense, il quale insiste per una “soluzione
politica” al conflitto. Certo 70mila morti sono davvero troppi, così come la distruzione
attuata in molte aree del Paese. Nonostante tutto, però, da Washington non arriveranno
aiuti letali; tutto il resto sì, compresa la possibilità di addestrare le forze della
Coalizione. Resta ferma, dunque, la posizione della Casa Bianca, nonostante nei giorni
scorsi proprio al Khatib avesse legato la sua presenza a Roma ad una lunga serie di
richieste e condizioni. Tra queste un supporto in armi da parte degli Usa. Gli americani
hanno già inviato in Siria aiuti per 385 milioni di dollari. “Facciamo questo", ha
sottolineato Kerry, “perché la Siria si rialzi, la posta in gioco è troppo alta”.
Nessun Paese al mondo si deve sentire oppresso da un regime come quello di Assad.
LE
RICHIESTE DI AL KHATIB – Ripercorre i punti degli “amici” italiano e statunitense
Al Khatib, denunciando massacri e violenze inaudite, perpetrare quotidianamente. Di
qui una richiesta diretta: impegnarsi o costringere il regime ad accettare corridoi
umanitari, per Homs assediata da 250 giorni, e Deraa, culla del movimento di protesta
pacifico. Poi l’appello più forte, ma anche difficile, quello ad inviare armi alla
Coalizione; "bisogna dare al popolo rivoluzionario - dice – ogni mezzo per difendersi”,
anche perché la rivoluzione nasce su fondamenti di pace, dettata dalla richiesta di
libertà di un popolo oppresso. Smentisce, infine che l'opposizione armata si ispiri
al fondamentalismo islamico e spinge i media a non soffermarsi sulla “lunghezza della
barba dei ribelli”, quanto piuttosto sulle “stragi di bambini che insanguinano il
Paese ogni giorno”. Quanto alle armi chimiche Al Khatib parla di un finto problema,
di fronte al numero crescente di vittime causate dall’esercito di Assad con armi convenzionali
e missili Scud.
L’ALLARME UMANITARIO – “Sta arrivando il momento della
verità”. E’ forte la denuncia di Antonio Guterres, alto commissario delle Nazioni
unite per i Rifugiati, che evidenzia come "in Siria si rischi un disastro di proporzioni
immani: sia in campo politico che umanitario". La situazione umanitaria è talmente
drammatica da non poter essere neanche descritta, perché mese dopo mese, la crisi
dei rifugiati accelera ad una velocità impressionante. I dati che fornisce l'Unhcr
parlano di 940mila rifugiati nei paesi del Medio Oriente e del Nord Africa. Solo dall'inizio
del 2013, oltre 40mila persone sono fuggite dalla Siria ogni settimana, mentre gli
sfollati interni sono circa 2 milioni, mentre oltre 4 milioni di persone subiscono
le conseguenze del conflitto. Non bisogna dimenticare, poi, il mezzo milione di rifugiati
palestinesi in Siria, anche loro coinvolti nella guerra. Poi un allarme riguardante
i Paesi d’asilo, che “sono stati molto generosi – riferisce Guterres – che hanno tenuto
aperte le frontiere, ma che non saranno in grado di farlo ancora a lungo”. Per questo
occorre un rinnovato impegno della comunità internazionale per far fronte all'emergenza.
Il tracollo dei Paesi limitrofi alla Siria trascinerebbe l’intera regione mediorientale
nal baratro. Un rischio che non si può correre.