2013-02-26 15:43:08

Un libro sul Beato Brandsma, carmelitano olandese martire della Shoah


Tradotta per la prima volta in italiano, la conferenza “Insegnare la prevenzione della crudeltà verso gli animali” che il Beato Tito Brandsma tenne nel 1936 presso l’Università di Nimega, diventa un libro pubblicato dalle edizioni Graphe.it, dal titolo “Per vivere senza crudeltà verso gli animali”. Ce ne parla Roberta Barbi: RealAudioMP3

È un tema particolare, quello affrontato da padre Tito Brandsma, il carmelitano olandese beatificato da Giovanni Paolo II nel 1985: l’amore verso gli animali. Dio ha creato gli animali e dal momento che noi siamo chiamati ad amare tutto ciò che Dio ha creato, siamo tenuti ad amarli e ogni genere di violenza verso di loro è ingiustificata agli occhi di Dio: una forma di rispetto per la bellezza del Creato, tema affrontato oggi dall’etica cristiana, come afferma il dott. Leonardo Caffo, del laboratorio di Ontologia dell’università di Torino, autore della prefazione del volume:

“Il cristianesimo può essere una delle vie preferenziali per comprendere quanto il nostro rapporto con gli animali e gli umani dovrebbe cambiare e io credo che una buona interpretazione sia quella che vede Dio dare all’uomo la responsabilità del Creato, cioè la responsabilità degli altri animali e delle loro vite. Per cui, il cristianesimo, che è la bontà fatta religione, non può non tenere conto di un aspetto come questo”.

Il Beato scrive che chi è crudele verso gli animali rischia di diventarlo verso le persone: proprio lui che morirà a causa di una delle massime espressioni storiche della crudeltà umana, tanto più orribile perché aggravata dal non-senso, la Shoah. Eppure, nel suo diario scritto a Dachau, appare sempre in pace con il mondo e con Dio, cui si è affidato interamente. Una serenità che sa interpretare padre Giovanni Grosso, postulatore generale dell'Ordine carmelitano:

“Direi che un carmelitano ce l’abbia nel sangue, questa chiamata all’unione con Dio e quindi anche quella pace, che nasce appunto dall’incontro e dalla frequenza del rapporto con il Signore”.

Uno degli episodi più toccanti della vita di padre Tito nel campo di sterminio è proprio l’ultimo giorno, quel 26 luglio 1942 in cui un’infermiera gli procurò l’iniezione letale. Proprio a lei, il Beato regala il suo Rosario di fortuna, fatto di pezzetti di legno e bottoni, chiedendole di pregare. All’obiezione di lei di non saperlo fare, risponderà semplicemente: “Basta che tu dica: prega per noi peccatori”. In questo sta l’importanza e il valore che il carmelitano dà alla preghiera e alla recita del Santo Rosario in particolare, come sottolinea padre Grosso:

“Il Rosario è appunto un modo per rimanere legato a Maria. Per lui, quindi, è una compagnia molto forte. Evidentemente, l’oggetto in sé non era così essenziale. Qui sta il suo rammarico ed anche poi la gratitudine a quel prigioniero che gli confeziona questo Rosario, fatto di pezzetti di legno e di bottoni, che poi finirà nelle mani dell’infermiera che lo ha ucciso e che diventa occasione anche di conversione”.

Padre Tito era stato condannato perché aveva mosso ai nazisti l’accusa peggiore: quella di andare contro la persona umana e il suo valore. Al neopaganesimo che il nazismo rappresentava, egli rispondeva con l’amore. Anche per questo è morto da martire, come ricorda ancora padre Grosso, evidenziando l’insegnamento che questa grande figura offre ancora all’uomo di oggi:

“Credo sia la capacità di affiancarsi alle persone, di camminare con loro per dare un messaggio di speranza, di salvezza, che è quello che ci viene dal Vangelo. Apparentemente, e in questo anche è pienamente martire, umanamente e storicamente padre Tito viene sconfitto, perché muore. Ma è proprio grazie alla sua capacità di donarsi, non senza lottare, che poi può accettare la situazione, trasformandola in un’occasione di annuncio, di salvezza”.







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