Sri Lanka: appello delle comunità cristiane per i diritti dei Tamil
Riportare i profughi della guerra civile nei loro luoghi d'origine, demilitarizzare
il nordest dello Sri Lanka e indagare sui crimini avvenuti durante e dopo il conflitto
tra l’esercito di Colombo e le Tigri Tamil. Sono le richieste che mons. Rayappu Joseph,
vescovo di Mannar, e 133 religiosi tamil cristiani hanno presentato al Consiglio delle
Nazioni Unite per i Diritti umani, che è riunito in sessione a Ginevra fino al prossimo
22 marzo. Per un’analisi delle emergenze che attanagliano il nord dello Sri Lanka
e la popolazione Tamil, Marco Guerra ha sentito padre Bernardo Cervellera,
direttore di AsiaNews:
R. - Il governo
aveva fatto tante promesse, soprattutto alla popolazione Tamil, ma non ha mai attuato
nulla di tutte queste promesse. C’è soprattutto la situazione molto, molto grave di
almeno 200 mila profughi interni, sfollati, perché ci sono stati bombardamenti, conflitti
e battaglie, e questi “poveracci” non hanno un luogo dove andare; tanto più che alcune
delle zone dove loro abitavano sono occupate dall’esercito per questioni di sicurezza,
oppure perché dicono che i terreni sono ancora minati. Quindi, questa gente vive praticamente
in lager, dove mancano medicine e cibo. Poi, tra vescovi e Ong denunciano anche una
certa “cingalizzazione”, cioè colonizzazione di queste popolazioni attraverso
la diffusione della religione buddista – mentre i Tamil sono indù, oppure cristiani
– ed anche l’invio di coloni cingalesi dal sud. Così, invece di creare una situazione
di riconciliazione, si sta creando ancora di più una frattura tra la popolazione Tamil
ed il resto della popolazione cingalese.
D. – Tra le questioni irrisolte anche
quella dei crimini di guerra commessi dalle forze armate nel conflitto con le Tigri
Tamil…
R. – Questi crimini di guerra adesso sono stati impugnati dalla commissione
Onu per i diritti umani, sono stati denunciati anche da Ong e dalla Chiesa cattolica
e ci dovrebbero essere delle mozioni – preparate in particolare dall’India e dagli
Stati Uniti – per condannare il presidente Mahinda Rajapaksa ed il suo atteggiamento
nei confronti di questa riconciliazione mancata. Però, il governo in tutti questi
ultimi mesi non ha fatto altro che sparare a zero contro l’Onu e contro questo rapporto
della Commissione per i Diritti Umani.
D. – Nel Paese, c'è chi denuncia un
dilagante autoritarismo: si parla di sindacalisti, giornalisti e lo stesso clero nel
mirino delle azioni del governo…
R. – L’impressione che abbiamo è che Mahinda
Rajapaksa ed il suo gruppo – molto spesso legato ai suoi familiari e ad altri generali
dell’esercito – stiano costruendo uno Sri Lanka che vada bene per il loro potere sia
politico che economico. In questo contesto tutti quelli che vogliono fare delle critiche
sono subito messi in prigione, oppure eliminati: ci sono stati tanti giornalisti uccisi.
Non va meglio per alcune popolazioni di pescatori che non hanno ricevuto nessun aiuto
dai tempi dello tsunami e che sono state sbattute lontano dal mare per lasciare spazio
a diversi progetti turistici faraonici.