Attentati talebani in Afghanistan. Karzai: le forze speciali Usa si ritirino da Wardak
e Logar
“Sorpresa” da parte di Washington dopo la richiesta del governo afghano alle forze
speciali Usa di ritrarsi dalle province di Wardak and Logar entro due settimane. “Non
vi era stato nessun segnale – ribadiscono dal Pentagono, mentre per Kabul i commando
sono responsabili di alimentare “insicurezza e instabilità” nelle due province limitrofe
alla capitale Kabul. Quanto queste tensioni tra Stati Uniti e Afghanistan possono
rafforzare le azioni dei Talebani e quanto, invece, indeboliscono concretamente Karzai?
Salvatore Sabatino ne ha parlato con Luciano Bozzo, docente di relazioni
internazionali presso l’Università di Firenze:
R. - Quello
che sta succedendo non è niente d’imprevisto: nella prospettiva del ritiro della quasi
totalità delle truppe americane, promessa da Barak Obama, evidentemente stiamo giungendo
al redde rationem. La situazione nel Paese è evidentemente confusa e conflittuale.
L’attuale presidente è stato insediato, a seguito delle operazioni militari che portarono
all’occupazione del Paese, ed è chiaro che il suo futuro è quantomeno incerto nella
lotta complessa che si sta sviluppando per la fase che seguirà al ritiro americano.
Quello che sta succedendo, in questi giorni, non è nient’altro che la conseguenza
di questa situazione.
D. - E, infatti, il presidente Karzai ancora - dopo anni
- non ha il controllo dell’intero Paese…
R. - Nessuno ha il controllo dell’intero
Paese, perché il Paese di fatto è diviso in aeree, in zone in parte controllate dalle
forze della coalizione internazionale, in parte - più o meno - controllate dai signori
della guerra locali e, in parte, anche lasciate a se stesse. L’Afghanistan è un Paese
vasto e soprattutto da un punto di vista orografico è un Paese complesso e quindi
assicurarne il controllo non è cosa semplice. Il governo centrale, di fatto, controlla
- nelle migliori delle ipotesi - alcune delle città principali, tra cui evidentemente
Kabul, e lo fa grazie al sostegno degli Stati Uniti e, appunto, delle forze della
coalizione internazionale. Al venir progressivamente meno di questo sostegno è chiaro
che Karzai si troverà e si sta trovando di fronte ad una situazione complicata: se
vuole garantirsi la sopravvivenza nei confronti di quel coacervo di forze, cui prima
facevo brevemente riferimento, deve trovare una qualche forma di mediazione. Naturalmente
queste iniziative, adottate anche nelle ultime ore, possono essere spiegate in quest’ottica.
D.
- Intanto, professore, proseguono gli attacchi dei talebani in alcune aree, compresa
Kabul: quanto queste tensioni tra Stati Uniti e Afghanistan possono rafforzare le
loro azioni e quanto, invece, indeboliscono concretamente Karzai?
R. - Quello
che sta avvenendo, dal punto di vista degli attacchi talebani, ancora una volta, non
è nulla che non fosse ampiamente atteso, prevedibile e previsto. Evidentemente, proprio
nella prospettiva del ritiro americano, per quanto non totale, i talebani si stanno
muovendo per tentare di giocare una carta importante rispetto al futuro dell’Afghanistan.
Evidentemente questo accresce la difficoltà di Karzai: Karzai si trova in una situazione
molto delicata, perché inevitabilmente sarà visto ed è visto da una parte della popolazione
afghana come colui che è stato insediato in virtù della presenza americana e della
momentanea vittoria americana e della coalizione internazionale, dopo la guerra del
2001. Molte sono le rivendicazioni, rispetto al governo centrale, di componenti della
società afghana, a cominciare da quella più importanti di tutte che è l’etnia pashtun,
cui non appartiene l’attuale presidente. Questo crea una situazione potenzialmente
destabilizzante ed esplosiva.