Siria. Attentati a Damasco, quasi 100 morti. Brahimi: crimine di guerra
Sempre più drammatico il bilancio degli attentati che hanno sconvolto Damasco giovedì
scorso e che hanno causato la morte di quasi 100 persone. L'inviato di Onu e Lega
araba Brahimi parla di crimine di guerra. Scambio di accuse tra regime ed opposizione.
Non è giunta ancora alcuna rivendicazione. Ieri ad Aleppo almeno 3 missili lanciati
dalle forze governative in zone residenziali hanno causato circa 30 morti, tra cui
molti bambini. Il servizio è di Salvatore Sabatino:
E’ stato un venerdì
di preghiera contrassegnato dal dolore a Damasco, presa di mira giovedì da almeno
5 attentati. Il più grave contro la sede del Baath, il partito al potere, contro cui
è stata lanciata un’auto imbottita di almeno 300 kg di tritolo. Il regime – a detta
dei ribelli – avrebbe organizzato in ogni minimo particolare la serie di attacchi.
Dall’entourage di Assad, però, si leva una ferma condanna ed un’altrettanta ferma
accusa nei confronti dei gruppi terroristi presenti nel Paese, appoggiati – secondo
il governo – e foraggiati da Al Quaeda. Al di là delle responsabilità, ancora da definire,
resta il fatto che quella di ieri è stata per Damasco la giornata più sanguinosa dall’inizio
della guerra civile. Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon ha fermamente condannato
quanto accaduto, spingendo per una soluzione politica, unica strada per uscire dalla
crisi. Stessa posizione espressa pure dal ministro degli Esteri britannico, William
Hague, in visita in Libano, Paese che ha subito minacce di bombardamenti da parte
dei ribelli siriani, in risposta alla presenza in Siria di membri di Hezbollah al
fianco dei sostenitori di Assad.
Sul rischio che la guerra civile siriana
coinvolga il confinante Libano, Salvatore Sabatino ha intervistato il collega
Camille Eid:
R. – Lo sta
già coinvolgendo da parecchi mesi, nel senso che Hezbollah ha ammesso che alcuni suoi
militanti – senza, però, ricevere ordini specifici del partito e quindi per iniziativa
privata – combattono in Siria, perché dicono che ci sono i villaggi sciiti popolati
da libanesi all’interno del territorio siriano. La novità sta nel fatto che da questi
7-8 villaggi sciiti c’è ora un’offensiva da parte di Hezbollah contro quattro villaggi
sunniti. D. – Ed è anche la prima volta che si minaccia di portare la guerra in
territorio libanese... R. – Questo è vero. Il capo di Stato maggiore dell’Esercito
Libero ha detto che bombarderanno i territori libanesi, da cui partono questi missili.
Adesso lì non c’è una vera delimitazione delle frontiere tra Libano e Siria e c’è,
quindi, un via vai di cittadini. Teniamo presente, però, che i posti di frontiera
siriani sul confine con il Libano sono gli unici a non essere caduti in mano all’Esercito
Libero: la maggior parte di quelli che si trovano sul confine con la Turchia, con
l’Iraq e con la Giordania sono ormai da tempo caduti. Questo dimostra l’efficacia
dell’intervento Hezbollah al fianco del regime siriano. D. - Il governo di Beirut
ha preso posizione nelle ultime ore rispetto a questo rischio concreto? R. – Non
in maniera pubblica, perché abbiamo gli Hezbollah, con due ministri, nell’attuale
governo e ufficialmente la politica nei confronti della Siria è quella del "tenersi
lontano dalla mischia", la chiamano proprio così. Ma adesso il coinvolgimento di Hezbollah
in maniera così sfacciata rischia di mettere fine a questa politica di neutralità. D.
– Il Libano, che è uno dei Paesi maggiormente coinvolti dall’ondata di profughi provenienti
dalla Siria, fino a qualche tempo fa non li riconosceva come tali. Ora le cose stanno
cambiando? R. – Stanno cambiando anche perché il Libano se non facesse così, rischierebbe
di non ricevere gli aiuti dell’Unione Europea o di altri Stati. D. – Quanto la
comunità cristiana libanese, importantissima per gli equilibri regionali, può aiutare
la tenuta della pace? R. – Moltissimo, anche perché i cristiani sono divisi nei
due campi politici: quindi abbiamo i cristiani del generale Aoun, che sono nel governo,
e i cristiani degli altri partiti che sono nel fronte opposto del “14 marzo”. Questo
aiuta, quindi, a controbilanciare un po’, a non dare un aspetto confessionale al conflitto
attualmente in atto. Mentre vediamo, invece, che la stragrande maggioranza degli sciiti
è schierata nell’attuale governo e la stragrande maggioranza dei sunniti è schierata
nel campo di Hariri. Quindi, la posizione moderata o divisa dei cristiani aiuta, quantomeno,
a non dare un aspetto confessionale a quanto succede attualmente nella regione.
A
livello internazionale, l'Europa continua a interrogarsi su una possibile via d'uscita
alla crisi siriana, che alle decine di migliaia di morti causati finora assomma un
numero ernorme di profughi. Fausta Speranza ha domandato alla commissaria europea
per la gestione delle crisi, Kristalina Georgieva, in che modo l'Unione consideri
l'eventualità di un negoziato risolutivo:
R. – Unfortunately
very bad... Sfortunatamente molto male. Non vediamo segni di una soluzione politica
che possa mettere fine alla sofferenza della gente. Le associazioni umanitarie, con
grande difficoltà, stanno portando aiuto, all’interno della Siria, a quasi due milioni
di persone. Ma quelli che hanno bisogno di aiuto sono più di quattro milioni. Voglio
elogiare il sistema delle Nazioni Unite, così risoluto nel portare aiuto attraverso
le linee di combattimento, così che le persone, bloccate nei territori controllati
dai ribelli, possano anche loro ricevere cibo, tende e coperte. Vediamo come nei Paesi
vicini il numero dei rifugiati salga sempre di più e questo è un segno di quanto siano
terribili le condizioni in Siria. Abbiamo adesso superato le 800 mila persone e 830
mila sono in Libano, in Giordania, in Turchia e in Iraq. Non vediamo la fine di questo
flusso di rifugiati, incredibilmente difficile per i Paesi vicini. E’ un grande sforzo
per loro. Noi, in Europa, ci siamo focalizzati molto su questa crisi: siamo il più
grande donatore umanitario. In Kuwait, durante la Conferenza per la raccolta di fondi,
abbiamo raccolto 370 milioni di dollari, assieme ai 460 milioni di dollari che l’Europa
ha già stabilito. Quindi, 830 milioni di dollari, ma io le posso dire oggi che dovremo
fare ancora di più.
D. – Secondo la gente comune, la comunità internazionale
sostanzialmente resta a guardare di fronte alla tragedia che si consuma in Siria...
R.
– I would not agree... Io non sarei d’accordo perché, come ho detto, noi siamo
in prima linea: europei stanno rischiando la loro vita per salvare la vita di altri.
La Siria è molto bene armata: possiede armi chimiche e ha il supporto di Paesi potenti,
due di loro sono nel Consiglio di Sicurezza – Cina e Russia – ha l’appoggio dell’Iran
ed è anche un Paese, etnicamente, di tale varietà che è molto difficile internamente,
per i siriani stessi, trovare una via che porti al tavolo dei negoziati. Quindi, noi
dobbiamo riconoscere che l’Europa instancabilmente sta facendo molto per cercare di
trovare una soluzione, per cercare di portare su una piattaforma comune il Consiglio
di Sicurezza dell’Onu. Ma non è il luogo per cui l’Europa possa decidere che sia il
momento per un intervento militare, perché un intervento militare può rappresentare
un enorme rischio per l’intera regione: non solo l’uso di armi chimiche contro i siriani,
ma forse anche che il conflitto arrivi oltre i confini del Libano, della Giordania
ed anche della Turchia. Dobbiamo prendere tutte le misure possibili – per esempio
appoggiare la Turchia – per essere più sicuri in questo conflitto. La questione fondamentale
qui per il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è trovare un cammino verso una
posizione unitaria sulla Siria per mettere fine al conflitto.