Nuova strage a Damasco. Il commissario Ue Georgieva: emergenza per 4 milioni di civili
Ennesima giornata di sangue in Siria. Un'autobomba è esplosa poco prima di mezzogiorno
nella centralissima via al-Thawra, a Damasco. Pesantissimo il bilancio: almeno 35
morti e 237 feriti. Ma non è l’unico fatto di sangue avvenuto nella capitale. Il servizio
di Salvatore Sabatino:
La guerra siriana
non guarda in faccia a nessuno. E anche oggi consegna alla cronaca una strage di bambini.
Tra le vittime dell’autobomba nel centro di Damasco, ne sarebbero morti almeno sette.
Scempio di un conflitto senza esclusioni di colpi, che ha concentrato la propria potenza
di fuoco soprattutto a Damasco. Un'altra esplosione si era verificata, infatti, nello
stesso quartiere non lontano dalla sede centrale del partito Baath, al governo in
Siria. Altre hanno insanguinato – in rapida successione – il quartiere di Barzeh,
in cui sono seguiti cannoneggiamenti e colpi di mortaio sulle abitazioni civili, ma
anche Baramkeh e al-Adawi. I ribelli puntano il dito contro il regime, facendo salire
ulteriormente la tensione, già alta in realtà, in tutta la regione, a causa delle
minacce piovute da parte del Libero Esercito Siriano contro le postazione delle milizie
sciite di Hezbollah, alleate del regime di Assad, in territorio libanese, accusate
di aver aperto il fuoco contro i ribelli in Siria. Minacciato, insomma, un attacco
in Libano, che sarebbe fortemente destabilizzante per tutto il Medio Oriente.
Sul
rischio che la guerra civile siriana coinvolga il confinante Libano, Salvatore
Sabatino ha intervistato il collega Camille Eid, della redazione Esteri
di Avvenire:
R. – Lo sta
già coinvolgendo da parecchi mesi, nel senso che Hezbollah ha ammesso che alcuni suoi
militanti – senza, però, ricevere ordini specifici del partito e quindi per iniziativa
privata – combattono in Siria, perché dicono che ci sono i villaggi sciiti popolati
da libanesi all’interno del territorio siriano. La novità sta nel fatto che da questi
7-8 villaggi sciiti c’è ora un’offensiva da parte di Hezbollah contro quattro villaggi
sunniti.
D. – Ed è anche la prima volta che si minaccia di portare la guerra
in territorio libanese...
R. – Questo è vero. Il capo di Stato maggiore dell’Esercito
Libero ha detto che bombarderanno i territori libanesi, da cui partono questi missili.
Adesso lì non c’è una vera delimitazione delle frontiere tra Libano e Siria e c’è,
quindi, un via vai di cittadini. Teniamo presente, però, che i posti di frontiera
siriani sul confine con il Libano sono gli unici a non essere caduti in mano all’Esercito
Libero: la maggior parte di quelli che si trovano sul confine con la Turchia, con
l’Iraq e con la Giordania sono ormai da tempo caduti. Questo dimostra l’efficacia
dell’intervento Hezbollah al fianco del regime siriano.
D. - Il governo di
Beirut ha preso posizione nelle ultime ore rispetto a questo rischio concreto?
R.
– Non in maniera pubblica, perché abbiamo gli Hezbollah, con due ministri, nell’attuale
governo e ufficialmente la politica nei confronti della Siria è quella del "tenersi
lontano dalla mischia", la chiamano proprio così. Ma adesso il coinvolgimento di Hezbollah
in maniera così sfacciata rischia di mettere fine a questa politica di neutralità.
D. – Il Libano, che è uno dei Paesi maggiormente coinvolti dall’ondata di
profughi provenienti dalla Siria, fino a qualche tempo fa non li riconosceva come
tali. Ora le cose stanno cambiando?
R. – Stanno cambiando anche perché il Libano
se non facesse così, rischierebbe di non ricevere gli aiuti dell’Unione Europea o
di altri Stati.
D. – Quanto la comunità cristiana libanese, importantissima
per gli equilibri regionali, può aiutare la tenuta della pace?
R. – Moltissimo,
anche perché i cristiani sono divisi nei due campi politici: quindi abbiamo i cristiani
del generale Aoun, che sono nel governo, e i cristiani degli altri partiti che sono
nel fronte opposto del “14 marzo”. Questo aiuta, quindi, a controbilanciare un po’,
a non dare un aspetto confessionale al conflitto attualmente in atto. Mentre vediamo,
invece, che la stragrande maggioranza degli sciiti è schierata nell’attuale governo
e la stragrande maggioranza dei sunniti è schierata nel campo di Hariri. Quindi, la
posizione moderata o divisa dei cristiani aiuta, quantomeno, a non dare un aspetto
confessionale a quanto succede attualmente nella regione.
A livello internazionale,
l'Europa continua a interrogarsi su una possibile via d'uscita alla crisi siriana,
che alle decine di migliaia di morti causati finora assomma un numero ernorme di profughi.
Fausta Speranza ha domandato alla commissaria europea per la gestione delle
crisi, Kristalina Georgieva, in che modo l'Unione consideri l'eventualità di
un negoziato risolutivo:
R. – Unfortunately very bad... Sfortunatamente
molto male. Non vediamo segni di una soluzione politica che possa mettere fine alla
sofferenza della gente. Le associazioni umanitarie, con grande difficoltà, stanno
portando aiuto, all’interno della Siria, a quasi due milioni di persone. Ma quelli
che hanno bisogno di aiuto sono più di quattro milioni. Voglio elogiare il sistema
delle Nazioni Unite, così risoluto nel portare aiuto attraverso le linee di combattimento,
così che le persone, bloccate nei territori controllati dai ribelli, possano anche
loro ricevere cibo, tende e coperte. Vediamo come nei Paesi vicini il numero dei rifugiati
salga sempre di più e questo è un segno di quanto siano terribili le condizioni in
Siria. Abbiamo adesso superato le 800 mila persone e 830 mila sono in Libano, in Giordania,
in Turchia e in Iraq. Non vediamo la fine di questo flusso di rifugiati, incredibilmente
difficile per i Paesi vicini. E’ un grande sforzo per loro. Noi, in Europa, ci siamo
focalizzati molto su questa crisi: siamo il più grande donatore umanitario. In Kuwait,
durante la Conferenza per la raccolta di fondi, abbiamo raccolto 370 milioni di dollari,
assieme ai 460 milioni di dollari che l’Europa ha già stabilito. Quindi, 830 milioni
di dollari, ma io le posso dire oggi che dovremo fare ancora di più.
D. – Secondo
la gente comune, la comunità internazionale sostanzialmente resta a guardare di fronte
alla tragedia che si consuma in Siria...
R. – I would not agree... Io non
sarei d’accordo perché, come ho detto, noi siamo in prima linea: europei stanno rischiando
la loro vita per salvare la vita di altri. La Siria è molto bene armata: possiede
armi chimiche e ha il supporto di Paesi potenti, due di loro sono nel Consiglio di
Sicurezza – Cina e Russia – ha l’appoggio dell’Iran ed è anche un Paese, etnicamente,
di tale varietà che è molto difficile internamente, per i siriani stessi, trovare
una via che porti al tavolo dei negoziati. Quindi, noi dobbiamo riconoscere che l’Europa
instancabilmente sta facendo molto per cercare di trovare una soluzione, per cercare
di portare su una piattaforma comune il Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Ma non è
il luogo per cui l’Europa possa decidere che sia il momento per un intervento militare,
perché un intervento militare può rappresentare un enorme rischio per l’intera regione:
non solo l’uso di armi chimiche contro i siriani, ma forse anche che il conflitto
arrivi oltre i confini del Libano, della Giordania ed anche della Turchia. Dobbiamo
prendere tutte le misure possibili – per esempio appoggiare la Turchia – per essere
più sicuri in questo conflitto. La questione fondamentale qui per il Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite è trovare un cammino verso una posizione unitaria sulla
Siria per mettere fine al conflitto.