Tunisia: il premier si dimette dopo il fallito tentativo di dare vita a un governo
tecnico
In Tunisia il primo ministro Hamadi Jebali si è dimesso. Lo ha annunciato lui stesso,
in serata, in un intervento televisivo. Jebali oggi si era incontrato a lungo con
il presidente della repubblica, Marzouki, dopo un fallito tentativo di rimpasto del
proprio governo. L’intenzione era crearne uno di tecnici in grado di dare risposte
concrete alla crisi che attanaglia il Paese, in particolare dopo l'uccisione del capo
dell'opposizione laica, Chockri Belaid. Ora il timore è che la Tunisia cada davvero
in una delicatissima crisi istituzionale favorita da un clima politico di totale confusione.
Fausta Speranza ne ha parlato con Anna Bono, docente di Storia dei paesi
e delle istituzioni africane all’Università Tor Vergata:
R. - Aggrava
una situazione che nelle ultime settimane, anzi negli ultimi mesi, si è andata deteriorando.
Prima di tutto, è un fallimento dei nuovi governi che si sono avvicendati, non soltanto
in Tunisia ma anche in Egitto - due Paesi protagonisti della "primavera araba" di
due anni fa: non essere riusciti a invertire la rotta dal punto di vista economico,
risanare l’economia, avviare un processo virtuoso di lotta alla corruzione, insomma
dimostrare che il nuovo governo aveva realmente intenzione di non seguire le orme
delle dittature precedenti e quindi giustificare la propria resistenza. Alcune aree,
alcune regioni della Tunisia lamentano esattamente gli stessi problemi economici e
sociali che sono stati all’origine della "rivoluzione dei gelsomini".
D. –
Tra i dati di questo quadro economico negativo, c’è quello della disoccupazione…
R.
- Sì. Il tasso di disoccupazione nel 2001 ha superato il 28% e quel che è peggio,
tra i giovani, ha raggiunto il 40%. Nel frattempo, il costo della vita è cresciuto
del 4,4% circa rispetto all’anno precedente e il deficit della bilancia commerciale
è salito. In sostanza, tra il 2011 e il 2012 la situazione economica - come dimostrano
le proteste sempre più frequenti, gli scioperi, i sit-in - non solo non è migliorata,
come si sperava, ma è peggiorata. Il settore turistico ha registrato una flessione
ed è questo un dato tra i più allarmanti.
D. - Quali sono le forze politiche
che sono protagoniste in questa fase istituzionale della Tunisia?
R. - Da un
lato. la coalizione al potere, Ennahda, il partito islamista, e dall’altro un’opposizione
che però stenta a far sentire la propria voce e a ottenere quello che tutti speravano,
o perlomeno tutti coloro che in queste rivoluzioni hanno creduto e speravano, e cioè
un processo di democratizzazione reale del Paese. Come dicevo prima - e lo sottolineo
perché è veramente essenziale - la speranza era soprattutto in interventi in campo
economico che permettessero a questo Paese di risolvere il problema cruciale, cioè
quello di una popolazione giovane, una maggioranza di popolazione giovane, senza prospettive,
senza lavoro, senza un futuro. Si deve poi aggiungere, anzi sottolineare, che l’altro
punto debole di questo governo, e questo sta diventando sempre più evidente, riguarda
anche la tutela dei diritti umani. L’opposizione di cui stavamo parlando insiste giustamente
- e anche fuori dal Paese la comunità internazionale esprime molta apprensione - sulla
possibilità che il partito al potere Ennahda si riveli anche negativo per quel che
riguarda la tutela dei diritti umani. Ci sono già segnali di arretramento sotto questo
profilo. Pensiamo, per esempio, alla contestata nuova Costituzione che è molto ambigua
sul ruolo essenziale, fondamentale, della donna.
D. - Cosa avrebbe potuto o
potrebbe un governo tecnico più che un governo politico?
R. - Un governo tecnico,
teoricamente, se fosse veramente composto da persone competenti dovrebbe avere gli
strumenti e la facoltà, il potere, di utilizzarli per avviare riforme strutturali
sul piano economico e sul piano politico per concretizzare e rendere reali le riforme
in senso democratico.