2013-02-18 15:38:52

L'Ue dice sì alla missione europea di addestramento delle forze armate del Mali


Il Consiglio Europeo dei ministri degli Esteri ha formalmente approvato la missione militare europea di addestramento delle forze armate del Mali. La decisione politica era stata presa a dicembre. Alcuni esperti ed il primo contingente di 70 militari è già arrivato nella capitale Bamako l'8 febbraio scorso, mentre nelle prossime settimane saranno inviati altri 400 militari. Intanto un appello per la stabilità del Mali è arrivato dagli Stati del Sahara e del Sahel, nel corso di un summit in Ciad. Nella comunità internazionale, invece, si cerca il consenso su quali forme d’intervento adottare nel Paese quando sarà avvenuto il disimpegno della Francia: il rischio è che i gruppi jihadisti mantengano delle sacche di resistenza in territorio maliano. Ascoltiamo, al microfono di Davide Maggiore, l’analisi di Marco Massoni, docente di relazioni internazionali all’American University of Rome:RealAudioMP3

R. – Sembra quasi che le cose si debbano avverare così come le si ipotizzava già qualche anno fa. Vale a dire, de facto, un santuario islamista, filo-qaedista, nei territori settentrionali del Mali al confine con Nigeria e Algeria, come se i confini dell’Azawad, del sedicente Stato indipendente, si fossero compressi laddove i jihadisti avevano eletto domicilio. Sicuramente il passaggio di consegne dei francesi alla forza internazionale condotta dagli africani e poi in un secondo momento, non così lontano, a una missione di peace-keeping Onu, che è stata formalmente richiesta da parte di Parigi al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dà vita a una sorta formale di disimpegno francese che non significa però disattenzione da parte dell’Eliseo.

D. - Abbiamo accennato alla possibilità di una missione Onu, ma la comunità internazionale è abbastanza concorde su questo o ancora ci sono punti di frizione?

R. – Il consenso era crescente a livello internazionale e mai come in questo caso, quello del Sahel e del Mali, nello specifico anche in Europa, nelle cancellerie europee, aveva trovato consenso un’azione unitaria, poi l’intervento francese o comunque l’accelerarsi degli eventi ha creato colli di bottiglia. Immagino che ci sia presto un ritorno a una voce unica da parte dell’Europa, o almeno lo auspico fortemente, sta di fatto che non dobbiamo escludere ovviamente altri maggiorenti. E’ importante che anche Russia e Cina in ambito del Consiglio di Sicurezza avallino questa ipotesi e che poi si allarghi sempre più il consenso per il progetto dell’Onu, cioè una strategia di largo respiro per i prossimi decenni a venire, di reintegro delle sacche marginalizzate di popolazione che vivono nell’immenso Sahel.

D. – E’ stata da poco annunciata la data delle elezioni in Mali per il mese di luglio, è una data realistica o le divisioni politiche e tra politici e esercito a Bamako ancora impediscono uno scenario del genere?

R. – Evidentemente ci sono tensioni, probabilmente non è realistica ma già indicare una data di massima, aiuta a fare emergere le criticità, le contraddizioni o le difficoltà della politica interna nella capitale, Bamako, che tende ad essere messa in secondo piano rispetto agli accadimenti militari. E’ un errore, o comunque non è sempre opportuno fare così, perché non dobbiamo leggere le criticità del Mali solo attraverso la lente di un intervento militare, resosi comunque sia necessario, bensì fare attenzione a quanto accade nella capitale. Questo perché è vero che potrebbero essere escluse le regioni settentrionali ma la vita politica del Paese continua.

D. - Lo scenario regionale - il Maghreb è in un rinnovato stato di agitazione - potrebbe in un qualche modo influire sulla situazione maliana?

R. – Evidentemente i confini, anche da un punto di vista fisico, molto porosi fra questi Stati, e soprattutto i confini immateriali fra culture politiche in transizione, come quelle resesi interpreti della primavera araba a nord e quelle del Sahel - che possono subire, anche solo come suggestione, un effetto contagio - sono da guardare con attenzione, tenendo conto di un fatto: è una normale dialettica quella che sta accadendo anche nei Paesi rivieraschi sud del Mediterraneo, da un punto di vista di conflitto politico, a cui assistiamo tutti i giorni come in Egitto, in Libia e in Tunisia.







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