L'Ue dice sì alla missione europea di addestramento delle forze armate del Mali
Il Consiglio Europeo dei ministri degli Esteri ha formalmente approvato la missione
militare europea di addestramento delle forze armate del Mali. La decisione politica
era stata presa a dicembre. Alcuni esperti ed il primo contingente di 70 militari
è già arrivato nella capitale Bamako l'8 febbraio scorso, mentre nelle prossime settimane
saranno inviati altri 400 militari. Intanto un appello per la stabilità del Mali è
arrivato dagli Stati del Sahara e del Sahel, nel corso di un summit in Ciad. Nella
comunità internazionale, invece, si cerca il consenso su quali forme d’intervento
adottare nel Paese quando sarà avvenuto il disimpegno della Francia: il rischio è
che i gruppi jihadisti mantengano delle sacche di resistenza in territorio maliano.
Ascoltiamo, al microfono di Davide Maggiore, l’analisi di Marco Massoni,
docente di relazioni internazionali all’American University of Rome:
R. – Sembra
quasi che le cose si debbano avverare così come le si ipotizzava già qualche anno
fa. Vale a dire, de facto, un santuario islamista, filo-qaedista, nei territori settentrionali
del Mali al confine con Nigeria e Algeria, come se i confini dell’Azawad, del sedicente
Stato indipendente, si fossero compressi laddove i jihadisti avevano eletto domicilio.
Sicuramente il passaggio di consegne dei francesi alla forza internazionale condotta
dagli africani e poi in un secondo momento, non così lontano, a una missione di peace-keeping
Onu, che è stata formalmente richiesta da parte di Parigi al Consiglio di Sicurezza
delle Nazioni Unite, dà vita a una sorta formale di disimpegno francese che non significa
però disattenzione da parte dell’Eliseo.
D. - Abbiamo accennato alla possibilità
di una missione Onu, ma la comunità internazionale è abbastanza concorde su questo
o ancora ci sono punti di frizione?
R. – Il consenso era crescente a livello
internazionale e mai come in questo caso, quello del Sahel e del Mali, nello specifico
anche in Europa, nelle cancellerie europee, aveva trovato consenso un’azione unitaria,
poi l’intervento francese o comunque l’accelerarsi degli eventi ha creato colli di
bottiglia. Immagino che ci sia presto un ritorno a una voce unica da parte dell’Europa,
o almeno lo auspico fortemente, sta di fatto che non dobbiamo escludere ovviamente
altri maggiorenti. E’ importante che anche Russia e Cina in ambito del Consiglio di
Sicurezza avallino questa ipotesi e che poi si allarghi sempre più il consenso per
il progetto dell’Onu, cioè una strategia di largo respiro per i prossimi decenni a
venire, di reintegro delle sacche marginalizzate di popolazione che vivono nell’immenso
Sahel.
D. – E’ stata da poco annunciata la data delle elezioni in Mali per
il mese di luglio, è una data realistica o le divisioni politiche e tra politici e
esercito a Bamako ancora impediscono uno scenario del genere?
R. – Evidentemente
ci sono tensioni, probabilmente non è realistica ma già indicare una data di massima,
aiuta a fare emergere le criticità, le contraddizioni o le difficoltà della politica
interna nella capitale, Bamako, che tende ad essere messa in secondo piano rispetto
agli accadimenti militari. E’ un errore, o comunque non è sempre opportuno fare così,
perché non dobbiamo leggere le criticità del Mali solo attraverso la lente di un intervento
militare, resosi comunque sia necessario, bensì fare attenzione a quanto accade nella
capitale. Questo perché è vero che potrebbero essere escluse le regioni settentrionali
ma la vita politica del Paese continua.
D. - Lo scenario regionale - il Maghreb
è in un rinnovato stato di agitazione - potrebbe in un qualche modo influire sulla
situazione maliana?
R. – Evidentemente i confini, anche da un punto di vista
fisico, molto porosi fra questi Stati, e soprattutto i confini immateriali fra culture
politiche in transizione, come quelle resesi interpreti della primavera araba a nord
e quelle del Sahel - che possono subire, anche solo come suggestione, un effetto contagio
- sono da guardare con attenzione, tenendo conto di un fatto: è una normale dialettica
quella che sta accadendo anche nei Paesi rivieraschi sud del Mediterraneo, da un punto
di vista di conflitto politico, a cui assistiamo tutti i giorni come in Egitto, in
Libia e in Tunisia.