Card. Scola: il Papa chiede alla Lombardia di essere cuore credente d'Europa
“La Lombardia deve essere il cuore credente dell’Europa”. È questo il concetto di
fondo che Benedetto XVI ha affidato ai presuli della Regione italiana, ricevuti sabato
mattina in Vaticano in visita ad Limina. Subito dopo l’udienza, Luca Collodi
ha incontrato il capo della Chiesa ambrosiana, il cardinale Angelo Scola, e
gli ha chiesto anzitutto quale realtà di Chiesa sia stata presentata a Benedetto XVI:
R. – Abbiamo
presentato al Papa, con realismo, le tante luci che ci sono nella Chiesa lombarda.
Vale a dire una base di cattolicesimo di popolo ancora notevolmente robusta, che in
questi anni, grazie al Concilio, ha imparato, per esempio, una partecipazione alla
Santa Messa fatta di una vigilanza, di una serietà, che impressionano. Quando visito
le parrocchie a Milano, mi colpisce vedere, contrariamente a quanto si dice tante
volte in modo superficiale, una grande partecipazione, gente che resta in piedi anche
per due ore e con grande intensità. A partire da lì, nasce la domanda, per esempio,
che i genitori ancora fanno per i Sacramenti dei bambini, la quasi totalità. Come
pure la stessa scelta, che a Milano quest’anno è aumentata, dei ragazzi delle scuole
anche superiori di partecipare all’ora di religione. O gli straordinari segni della
carità, per cui in tutta la Lombardia è imponente l’azione delle Chiese, attraverso
le Caritas e mille altri strumenti, al punto tale che sicuramente le istituzioni dello
Stato non reggerebbero senza questo aiuto. Più delicata, come l’abbiamo presentata,
è stata invece la situazione della cultura, intesa in senso forte non libresco: cioè,
della capacità di portare l’esperienza profonda dell’incontro col Signore nella comunità,
dentro le situazioni concrete della vita personale – gli affetti, il matrimonio, la
famiglia la vita, la giustizia, la costruzione civile, sociale, politica, l’economia,
il mondo del lavoro – la difficoltà a comunicare questo con semplicità a tutti gli
ambienti. Il Papa ha insistito moltissimo – ma è il tema di questo grande Pontificato
– sulla gioia della fede che era stata sottolineata anche da tutti i vescovi che sono
intervenuti nel dialogo col Santo Padre. Tutti e 13 noi, presenti, qui sentiamo un
pochino di più la difficoltà. Abbiamo messo in evidenza anche il grande lavoro con
gli immigrati, l’aspetto del dialogo interreligioso, l’ecumenismo, il rapporto con
gli ebrei. Molto tempo dell’udienza, che è durata più di un’ora, è stato preso dalle
riflessioni sul nostro clero, sull’aiuto di accompagnamento del clero giovane, la
prima destinazione di inserimento nella vita pastorale, l’unità del presbiterio. E
mi sembra che questo, nella sostanza, sia stato sinteticamente detto. E’ questo il
contenuto dello scambio, molto familiare, che il Santo Padre sedendosi con noi ha
introdotto, con poche parole, dicendoci che voleva ascoltare uno ad uno, mostrando
una memoria impressionante delle sue visite nelle nostre diocesi.
D. – In particolare,
che indicazioni pastorali vi ha dato il Papa?
R. – C’è n’è una che si impone
su tutte e voglio dire solo questa: che a un certo momento, pensando alla Lombardia,
alla centralità della Lombardia, ha detto che la Lombardia deve essere il cuore credente
dell’Europa. A me sembra che questo sia più che un programma pastorale per le nostre
diocesi.
D. – Eminenza, la Conferenza episcopale della Lombardia è l’ultima
che incontra Papa Benedetto prima del 28 febbraio. Con quali sentimenti vi siete lasciati?
R.
– Eravamo tutti molto commossi: tutti i vescovi, uno ad uno. Il Papa ci ha salutato
di fatto due volte, all’inizio e poi alla fine, ci ha regalato una croce pettorale
e tutti i vescovi hanno detto il bene personale loro e dei loro fedeli per il Santo
Padre. C’era un tasso di commozione abbastanza marcato tra noi. Direi che tra tutti
il più sereno era il Papa. E’ stato molto bello, però, anche questo aspetto di familiarità.
Noi abbiamo ricordato alla fine che sentiamo la responsabilità di essere stati gli
ultimi ricevuti nella visita ad Limina, e lui ci ha detto: “Questa responsabilità
significa che dovete diventare una luce per tutti”. Speriamo di essere capaci.
D.
– Cardinale Scola, alla notizia della rinuncia del Papa al Pontificato lei ha parlato
di “un pugno nello stomaco” ai giovani lombardi. Molte persone amano il Papa, ma c’è
anche disorientamento tra la gente. Lei, su questo, ha rivolto una lettera alla Chiesa
ambrosiana…
R. – Sì, nel senso che ho detto ai giovani che per me la reazione
è stata un po’ paradossale. Da una parte, un pugno allo stomaco ti fa reclinare, no?
Invece questo è un pugno allo stomaco che ci ha fatto alzare la testa, perché ci ha
fatto vedere cos’è la fede, cos’è la vita di fede. Il Papa non ha testimoniato attaccamento
alle cose di questo mondo, tanto meno al potere, ma un abbandono totale alla volontà
di Dio, a ciò che lo Spirito detta. Allora abbiamo tirato su la faccia e forse, questo
evento, nel suo misterioso significato, è come un’occasione che lo Spirito prenderà
per riaprire noi cristiani alla speranza e alla gioia e per farci parlare, perché
ci si assuma una responsabilità più energica, quasi un soprassalto di energia di fede.
Lo penso soprattutto per l’Europa, ma non solo. Ed Europa vuol dire anche la mia diocesi,
le nostre terre e così via. Il mondo ha bisogno dell’Europa e l’Europa ha bisogno
di un soprassalto di fede.
D. – Ai sacerdoti romani il Papa è tornato a parlare
del Concilio. Lo ha fatto molte volte nel corso del Pontificato. Il Concilio è la
chiave di lettura, che può caratterizzare questo periodo storico della vita della
Chiesa?
R. – Penso di sì, a due condizioni. La prima, che non si separi il
grande evento conciliare: nella Chiesa la presenza vitale dello Spirito produce degli
eventi ed è attraverso l’evento, che mette in relazione le persone, che la prima riforma
della Chiesa avviene. Non si può, però, separare l’evento dal corpo dottrinale che
il Concilio ci ha fornito, che però – come ha detto il Santo Padre – va letto in unità,
a partire dalle quattro Costituzioni, che allora riveleranno una freschezza, un’attualità
e un compito di attuazione che ci sta ancora davanti. Io credo che questo 50.mo del
Concilio, nell’Anno della Fede, e questo evento di magistero supremo, che è la rinuncia
del Papa, possano realmente rappresentare un’occasione di grande rilancio della bellezza,
della verità, della bontà, dell’avvenimento di Cristo per il cuore dell’uomo di oggi.
Io sono convinto di questo. Senza contare il fatto che – se prendiamo per esempio
il documento sulla libertà religiosa o quello sul rapporto con i nostri fratelli ebrei
– vediamo come sia ancora tutto da approfondire, da attuare, da esperire. Pensiamo
al nostro Paese, l’Italia: quando è nato, il problema dell’immigrazione non esisteva,
adesso stiamo assistendo a un mescolamento di popoli, che produrranno il nuovo cittadino
europeo, assolutamente inedito. Io credo, quindi, che questi tre fatti insieme – il
50.mo del Concilio, l’Anno della Fede e questo gesto del Santo Padre – ridiano al
Vaticano II tutto il suo spessore e ne mostrino tutta l’attualità. A noi di assumerlo
responsabilmente.
Tra i vescovi lombardi che oggi hanno partecipato all'udienza
del Papa, in Vaticano, c'è anche il vescovo di Lodi, mons. Giuseppe Merisi. Al
microfono di Alessandro Gisotti, il presule racconta l'emozione dell'ultimo
incontro con Benedetto XVI:
R. - Sentimenti
di commozione e di emozione. Ci siamo tanto commossi nel vedere e nel sentire, nel
salutare e nel ringraziare il Santo Padre. In questa ultima udienza, gli siamo stati
vicini, ci siamo stretti a lui per ringraziarlo del suo grande dono. Ci parlava innanzitutto
dell’Anno della Fede e del rapporto tra fede e carità... Ha concluso l’incontro invitando
tutti noi a rileggere, a riprendere in considerazione, a valutare, a meditare e a
pregare sia con il messaggio ultimo della Quaresima sia anche con il precedente Motu
proprio sul segno della carità.
D. - C’è qualche parola che in particolare
l’ha colpita tra quelle pronunciate oggi dal Papa in questa ultima udienza?
R.
- Questo appello al tema della carità dove la carità è la verità della Fede, quindi
questo invito a considerare l’impegno di dedizione - che per noi nasce dal dono del
Signore, del suo Spirito, dall’Eucarestia - alle persone con cui viviamo, a cominciare
dagli ultimi, dagli emarginati, da coloro che più degli altri hanno diritto alla nostra
attenzione.
D. - Cosa dirà ai suoi fedeli nella sua diocesi?
R. - Dirò
che il Papa ci ha pregato di sentire la nostra vita come spesa al servizio - in conseguenza
della chiamata, del dono del Signore - della gente cui siamo affidati, assegnati
e che lui si sentirà sempre vicino a ciascuno di noi, a ciascuna delle nostre realtà,
a ciascuna delle nostre chiese.