Berlinale: meglio in film collaterali di quelli in concorso
Molti dubbi avvolgono gli ultimi giorni della 63.ma Berlinale. Sono dubbi nati già
all’inizio di questa edizione del Festival, dubbi legati alla reale capacità dei selezionatori
di scegliere le opere più idonee per la competizione. È una situazione contraddittoria,
che genera un po’ di confusione. Da una parte sezioni collaterali, come "Panorama"
e "Forum", individuano dei grandi film, dall’altra la "Selezione Ufficiale" è priva
nella sua larga maggioranza di questi titoli: uno su tutti, "La maison de la radio"
di Nicolas Philibert, a proposito del quale in molti si domandano come sia stato possibile
escluderlo dal concorso. Anche questi ultimi due giorni hanno confermato un tale stato
di cose. Un’opera come "Night train to Lisbon"del danese Bille August, inchiesta
di un professore svizzero nel complesso mondo della letteratura portoghese, non ha
veramente le qualità necessarie per stare in una vetrina internazionale di primo livello
come la Berlinale. Un’altra come "Dark blood" dell’olandese George Sluizer, pur salvando
dalla distruzione l’ultima opera interpretata dal compianto River Phoenix, ha come
unici motivi di interesse il fascino della rievocazione e il senso profondo della
perdita. Un’altra ancora, come "Harmony lessons" del kazako Emir Baigazin ci introduce
nel cerchio di violenza senza fine che avvolge la vita di molte Repubbliche ex-sovietiche,
e, pur non essendo mal filmata, nel momento in cui mette in scena delle crudeltà gratuite
verso gli animali e gli uomini, è tuttavia francamente insopportabile. Il meglio ci
sembra rappresentato da un film del bosniaco Danis Tanovic, "An episode in the life
of an iron picker". Qui lo spettatore assiste commosso e incredulo al disastro sociale
che si è instaurato in Bosnia Erzegovina, con la privatizzazione della salute pubblica
e l’obbligo assicurativo per potere ricevere delle cure. Ne è protagonista una famiglia
di rom che vive in uno sperduto villaggio fra le montagne. Lui raccoglie i rottami
di ferro per rivenderli, lei fa la casalinga e accudisce alle due figlie piccole.
Una terza è in arrivo, ma le condizioni di vita – l’inverno è rigidissimo e in casa
mancano spesso riscaldamento e corrente elettrica – creano della gravi complicazioni
nella gestazione. La donna sta male e durante un consulto medico si scopre che il
bambino che porta in ventre è morto. Dovrebbe essere operata urgentemente, ma gli
ospedali la rigettano perché non ha l’assicurazione sanitaria. La situazione sarà
poi risolta con l’abituale ingegno dei poveri, ma in quell’andare e tornare di corpi
sofferenti, sullo sfondo di un paese gelido nel clima e nell’animo, la nostra sensibilità
di spettatori si scoglie, nella pietà e nell’indignazione. (Da Berlino, Luciano
Barisone)