Al Festival di Berlino cinque film raccontano il mondo
Il freddo polare che ha investito l’Europa non ferma l’ordinato svolgersi del 63.mo
Festival di Berlino. Nel concorso internazionale i titoli si succedono l’uno all’altro
e qualche buona sorpresa compensa il freddo e le lunghe code in attesa delle proiezioni.
Il pubblico berlinese, che invade le sale con paziente entusiasmo, avrà sicuramente
apprezzato come noi cinque film che in diversa maniera raccontano il mondo. A partire
da A long and happy life di Boris Khlebnikov, film controcorrente già nel suo
supporto, un 35 mm granuloso e impastato non in sintonia con la lucida definizione
del digitale. Protagonista della pellicola il manager di una vecchia fattoria collettiva
della penisola di Kola, impegnato a difendere gli interessi dei suoi lavoratori contro
l’avida rapacità dei nuovi padroni della Russia. Opera pervasa di un antico spirito
contadino, A long and happy life racconta il consumarsi del dramma di una comunità,
inadeguata ai tempi e ai modi del nuovo sistema mondiale, e ne accompagna la fine
con dolorosa simpatia. I sogni e la dura realtà sono anche alla base di Gold
del tedesco Thomas Arslan, epico racconto di un viaggio nell’estremo nord canadese,
dove si avventura un gruppo di cercatori d’oro. Ambientato alla fine dell’800, il
film unisce dinamiche teatrali e grandi spazi, contrapponendo gli scontri fra i personaggi,
ciascuno dei quali porta quasi fisiognomicamente impresso nel volto il proprio carattere,
all’algida e muta bellezza del paesaggio. La dimensione materiale, che invade lo schermo,
fa sentire più forte la necessità di una dimensione spirituale. É questo il segno
distintivo di La Religieuse del francese Guillaume Nicloux e di Gloria
del cileno Sebastian Leilo. Se il primo riprende l’intreccio del classico romanzo
illuminista di Diderot, trasformandone la tensione anticlericale dell’epoca in chiave
più profondamente umana, il secondo racconta con finezza umoristica la solitudine
di una donna matura dopo il divorzio, il suo bisogno d’amore, le infinite disillusioni
all’interno della maschilista società cilena. Una nota a parte merita infine Vic+Flo
ont vu un ours di Denis Côté, film dolente e pieno di una segreta grazia, racconto
dell’impossibile reinserimento di una coppia di ex carcerate nell’ordinata società
canadese. Ambientato nell’oscura solitudine delle foreste, il film, che fonde mirabilmente
volti e corpi devastati, recitazioni distaccate e un montaggio dai ritmi sincopati,
ci consegna dei personaggi memorabili e, attraverso un’imprevedibile sviluppo narrativo,
ci lascia commossi e confusi di fronte al grande mistero della vita. (Da Berlino,
Luciano Barisone)