2013-02-09 16:11:32

Cinema: al festival di Berlino i film di Szumowska, Seidl e Van Sant


Nevica sul 63° Festival di Berlino. Sotto un cielo cupo arrivano i primi titoli e le prime delusioni del concorso internazionale. La competizione si è infatti aperta con un film polacco, “In the Name of” di Malgoska Szumowska, che racconta i turbamenti di un giovane prete incaricato di gestire un centro di recupero per giovani con problemi comportamentali, reduci da anni di riformatorio. Ciò che rende particolarmente deludente questo film è che la cineasta sa filmare e per i nove decimi della sua durata sa strutturare il racconto, con bellissime sequenze che trasmettono tutta l’energia selvaggia della gioventù o la tensione del giovane sacerdote nella sua lotta interiore fra le tentazioni della carne e la purezza della fede. Il film cade purtroppo nel finale quando la cineasta non ha più fiducia nel potere dell’ellissi e invece di lasciare lo spettatore di fronte a una domanda insolubile, prende la strada più prevedibile e trasforma “In the Name of” nel più convenzionale dei gay film. Non ci convince neppure “Paradise: Hope” di Ulrich Seidl, terzo atto di una trilogia sparpagliata fra i Festival di Cannes, Venezia e Berlino. Se “Paradise: Love” e “Paradise: Faith” ci erano sembrati delle complesse testimonianze di un disperato e confuso bisogno d’amore ma anche dei gesti cinematografici di grande vigore, qui, in questa storia di seduzione fra un’adolescente sovrappeso e un maturo nutrizionista, la stanchezza prende il sopravvento e il dispositivo scelto dal regista austriaco mostra tutte le sue smagliature. Meglio si comporta Gus Van Sant, seppure alle prese con un film su commissione come “Promised Land”. Nato dalla volontà militante del suo attore protagonista, Matt Damon, in favore della lotta delle popolazioni contro gli interessi delle multinazionali che vogliono estrarre il gas scisto a scapito di devastanti inquinamenti ambientali, il film racconta la più classica della parabole di conversione, seguendo il percorso di un manager ambizioso, diviso fra gli interessi dell’azienda e la salute della gente comune. Film di sceneggiatura, ben diretto e interpretato, “Promised Land” non avrà nessun guizzo creativo (come altre opere del regista americano) ma almeno ci consegna un film che ci fa sentire dalla parte giusta. Il meglio della giornata viene tuttavia da un film documentario, “La maison de la radio” di Nicolas Philibert, già celebre autore di “Essere e avere”. Il cineasta, da sempre attento ai dettagli che possano rivelare la presenza del sacro nelle prosaiche vicende umane, ha passato sei mesi all’interno del complesso architettonico che ospita la radio francese. Vagabondando da una sala di registrazione a un’altra, dalle voci che raccontano i fatti quotidiani a quelle che riflettono sul presente e sulla storia a quelle che ricreano un universo attraverso la sottile modulazione dei suoni a quelle che accompagnano la musica, Philibert riesce ancora una volta nella più difficile impresa di un artista, filmare il visibile per captare l’invisibile. (Da Berlino, Luciano Barisone)RealAudioMP3

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LVII no. 40







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