Riprendono a Cuba i colloqui tra Farc e governo colombiano
Sono ripresi ieri all’Avana i colloqui di pace tra il governo della Colombia e le
Farc, Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane. Nonostante i negoziati in corso, sul
terreno tuttavia continuano le violenze, mentre la Chiesa continua con forza ad esprimere
l’auspicio che il dialogo vada a buon fine. Sulla situazione in Colombia e l’andamento
dei colloqui, Giancarlo La Vella ha intervistato Maurizio Chierici,
esperto di America Latina:
R. – Sì, le
violenze sono ricominciate. Tuttavia, la filosofia che accompagna le trattative di
Cuba è quella di distinguere tra ciò che succede all’Avana e ciò che succede in Colombia,
anche perché le Farc hanno ricominciato con attentati incomprensibili: hanno fatto
saltare un asilo, hanno ucciso tre poliziotti e tre ne tengono prigionieri… D’altronde,
però, una soluzione credo che sia importante e credo che Cuba la senta moltissimo.
Ma c’è qualcosa di più: teniamo presente che in Colombia, la guerra che dura da mezzo
secolo ha avuto come principale soggetto che allevia i problemi della gente la Chiesa
colombiana... Qual è il nodo? Prima di tutto, i problemi agricoli: le zone delle Farc
sono zone dove esistevano i latifondi e quindi c'è il problema di migliaia e migliaia
di persone che sono fuggite da quella zona, si sono accampate lì attorno, assistite
dalla Caritas ma vogliono tornare: vogliono che il ritorno non sia il ritorno al latifondo,
ma il ritorno ad una regolamentazione diversa.
D. – Se sono iniziati dei colloqui,
vuol dire che nelle parti c’è l’intenzione di fare delle concessioni. Quali quelle
del governo nei confronti delle Farc e viceversa, quali quelle dei miliziani nei confronti
del governo?
R. – Il governo si è dichiarato molto ottimista. Dice che infondo
l’impostazione dei colloqui è giusta ed è ottimista sul risultato che prima o poi
avverrà. Quello che invece dicono quelli delle Farc è che non esiste tutta questa
grande apertura, anche perché ricordo le parole di un incontro con Ingrid Betancourt,
che è stata prigioniera quasi sei anni delle Farc, e diceva che nelle zone occupate
– che sono un quinto del Paese – e nelle zone attorno la soluzione è il lavoro. Ma
il lavoro nelle zone occupate è: devi far carriera nelle Farc, e diventare un graduato,
un comandante e quindi hai possibilità di mantenere la famiglia; ma la stessa cosa
avviene dall’altra parte: o entri nell’esercito, o entri nelle squadre di protezione
dei civili e a questo punto fai carriera. Devono disinnescare questa "bomba sociale",
credo. Per il momento, però, da una parte e dall’altra le bocche sono cucite …