Ue cerca accordo sul bilancio. L’economista greco Tsoukalis: ripristinare fiducia
nell’euro
A Bruxelles, si tiene oggi il vertice del Consiglio Europeo, alla ricerca di un accordo
sul bilancio dell’Unione per i prossimi sette anni. Alcuni Paesi, Germania in testa,
chiedono tagli significativi, all’insegna del rigore. Altri, come la Francia, sperano
di limitarli o renderli più mirati. Intanto, da Atene arrivano cattive notizie. Le
entrate della Grecia sono in calo, e il fisco rischia di non raggiungere gli obiettivi
prefissati. Ma qual è lo stato di salute dell’economia ellenica, uno dei "termometri"
della crisi? Davide Maggiore lo ha chiesto a Loukas Tsoukalis, economista
dell’Università di Atene:
R. – In Greece,
we have already covered... Abbiamo già fatto molta strada, in Grecia, sia in termini
di riconsolidamento del bilancio e anche, sempre di più, in termini di riforme strutturali.
Abbiamo un governo che ora è determinato e che sta prendendo le giuste misure. L’altra
notizia molto buona è che ora praticamente nessuno parla più del rischio che la Grecia
lasci l’eurozona. Solo sei mesi fa, molti davano per scontato che la Grecia avrebbe
lasciato l’eurozona. La cattiva notizia è che - come risultato di tutte quelle misure
che sono state prese e di quelle che non sono state prese - nell’ultimo anno e mezzo,
l’economia greca è affondata. Abbiamo già perso già il 20% del nostro prodotto interno
lordo e stiamo ora iniziando il sesto anno consecutivo di recessione, con una crescita
negativa. Abbiamo il 26% di disoccupazione e questo tasso continua a crescere. Questo
significa che la nostra economia e la nostra società sono disperate. In tale situazione,
per prima cosa, i costi economici e sociali sono enormi, ma c’è anche il rischio di
imprevisti.
D. – La Grecia non è stato il solo Paese europeo colpito dalla
crisi dell’eurozona. I fattori che hanno causato la crisi sono stati affrontati o
c’è ancora qualcosa da fare?
R. – There is a collection of different national
problems... C’è un insieme di differenti problemi nazionali all’interno dell’eurozona,
ma c’è anche un problema sistemico dell’eurozona come tale. Penso si siano fatti progressi
– non c’è dubbio su questo – nel ridurre il deficit di bilancio, in tutti i Paesi
europei. Si sono fatti progressi nelle riforme strutturali, in alcuni Paesi di più
che in altri, e sono state adottate politiche a livello europeo che sarebbero state
completamente impensabili due anni fa. Tutto questo va molto bene, ma non è abbastanza,
e questo è il problema. Quello che sottolineerei in questa circostanza è che l’eurozona
ha bisogno disperatamente di adottare politiche orientate alla crescita, perché la
recessione sta durando troppo: il costo in termini di sofferenza economica e sociale
è enorme e l’austerity e le riforme strutturali sono una cosa, ma lo stimolo
alla crescita è un’altra, e noi abbiamo bisogno di entrambi.
D. – Le istituzioni
europee, soprattutto la Banca centrale europea, hanno fatto molte cose per affrontare
la crisi del debito. Possono fare la stessa cosa per accelerare la crescita?
R.
– In order to boost growth... Per accelerare la crescita, la prima cosa da fare
è ripristinare la fiducia nella solidità dell’unione monetaria:i mercati devono
convincersi, tutti devono convincersi, che l’euro è qui per restare e tutti quelli
che sono nell’euro ci sono per restarci. Se si ferma la speculazione, la maggior parte
del capitale che ha lasciato il Sud dell’Europa tornerà indietro e parte di esso sta
già tornando. Però, bisogna anche immettere più liquidità nel sistema: infatti, a
causa della crisi molte banche, specialmente nel sud dell’Europa, sono affamate di
capitali, non hanno soldi. Se non c’è liquidità, non ci possono essere investimenti
e non ci può essere crescita. Quindi, bisogna immettere liquidità nel sistema e c’è
bisogno anche di politiche europee, come per esempio progetti infrastrutturali, che
creerebbero posti di lavoro. Bisogna ritornare anche ad alcune ricette tradizionali
per stimolare la crescita.