La mostra "Il cammino di Pietro". Il curatore: la fede diventa un viaggio nell'arte
Sarà inaugurata questa sera a Castel Sant’Angelo, alla presenza del cardinale segretario
di Stato, Tarcisio Bertone, la mostra “Il Cammino di Pietro”, una delle iniziative
in calendario per l’Anno della Fede. L’esposizione propone, fino al 1 maggio 2013,
capolavori provenienti dalle più prestigiose sedi museali europee. Federico Chiapolino
ha chiesto al curatore, don Alessio Geretti, su quali criteri si è basato per
proporre un tema così impegnativo:
R. – Abbiamo
pensato che nell’Anno della Fede la cosa migliore fosse raccontare cos’è la fede e
non definirla in maniera astratta, attraverso l’avventura umana e spirituale dell’Apostolo
Pietro. In questo si trovano anche i criteri di tutte le altre scelte che nella mostra
sono state fatte. Il criterio narrativo: la mostra non è costruita sulla base dei
confronti tra le scuole artistiche, ma sulla base dei momenti della vita di Pietro
e, dunque, delle diverse sfaccettature che la fede ha e rivela nella sua esperienza.
Il secondo criterio è quello dell’accompagnamento dei visitatori attraverso diversi
linguaggi, in modo da farci entrare nella vicenda di Pietro e nel clima dei momenti
diversi di quella vicenda. La parola scritta, le apparizioni teatrali previste lungo
il cammino della mostra, la proiezione cinematografica a un certo punto del cammino,
la musica nei passaggi fondamentali, l’illuminazione dinamica che ci invita non solo
a guardare le opere ma a seguire una sorta di vera e propria rappresentazione drammaturgica:
sono tutti criteri di costruzione del percorso che rispondono alla logica iniziale,
cioè coinvolgere e avvolgere il visitatore in un grande racconto, per poi invitarlo
a uscire e a guardare dalla loggetta di Castel Sant’Angelo la cupola della Basilica
di San Pietro, pensando che lì è finito e in un certo senso è ricominciato il cammino
di Pietro.
D. - Nel percorso espositivo, quali sono le opere più emblematiche,
più significative, su cui è bene soffermarsi?
R. – Non è così facile scegliere,
perché le opere in mostra sono già il frutto di una selezione accurata. Senz’altro,
però, momento per momento, ne potremo indicare una. Credo che fra le opere presenti,
la moneta del tributo trovata da Pietro nel pesce, dipinta da Mattia Preti, sia particolarmente
potente. Penso che l’orazione nell’orto di Marcello Venusti, stretto parente artistico
di Michelangelo, potrebbe essere l’opera su cui soffermarsi di più, non soltanto per
ragioni stilistiche e storiche, ma anche perché è uno dei rarissimi casi in cui nel
Getsemani viene rappresentato il momento in cui Gesù sveglia Pietro. Poi, il rinnegamento
di Pietro di Georges de La Tour, una delle opere più importanti della mostra, uno
dei notturni più belli della storia dell’arte, con accanto le “Lacrime di Pietro”
inedite di Guercino, toccante, commovente. E poi l’alba più bella della storia dell’arte,
quella di Eugène Burnand, la corsa di Pietro e Giovanni al sepolcro di Gesù vuoto
al mattino della Risurrezione.
D. - Perché la scelta innovativa di proporre
un’offerta che non è solo visiva ma sinestetica, multisensoriale, multimediale?
R.
– Perché il cristianesimo è una forma di materialismo spirituale. Il cristianesimo
non ha mai concepito l’incontro con Dio senza passare per la concretezza degli incontri
fisici e per la dignità della materia. Per questo ha generato arti in tutte le forme
possibili e ci pareva non secondario che nell’Anno della Fede, sulla fede, si chiamassero
a raccolta diverse arti e non una soltanto.