2013-02-06 14:23:08

Incontro delle Chiese cristiane europee: intervista con i cardinali Erdő e Bagnasco


Si sono chiusi ieri a Varsavia, in Polonia, i lavori del Comitato Congiunto della Conferenza delle Chiese Europee (Kek) – che riunisce le Chiese e le comunità ortodosse, protestanti e anglicane del Vecchio continente - e del Consiglio delle Conferenze Episcopali cattoliche Europee (Ccee). Al centro dei lavori, il tema “Fede e religiosità in un’Europa che cambia. I nuovi movimenti cristiani in Europa: sfide o opportunità?”. “I partecipanti - informa un comunicato finale - hanno esaminato la sfida posta alle Chiese cristiane dai gruppi e movimenti religiosi che si collocano al di fuori della corrente maggioritaria delle Chiese cristiane”, ribadendo tanto la necessità di una nuova evangelizzazione quanto del rinnovamento della vita delle Chiese. “Particolare preoccupazione” è stata espressa per “quei migranti che sono venuti in Europa, ma non si sentono a loro agio nella corrente maggioritaria delle Chiese europee e si rifugiano in uno di questi nuovi movimenti religiosi”. Tra gli interventi anche quello del cardinale Angelo Bagnasco, vice-presidente del Ccee, che ha parlato degli interrogativi che pone il fenomeno dei nuovi movimenti religiosi. Ascoltiamo la sua riflessione: RealAudioMP3

R. – Ci deve far riflettere sul perché ci sono fuoriuscite di cattolici, o comunque di cristiani, verso questi nuovi movimenti. Quindi, il bisogno di una maggiore accoglienza, di un’appartenenza più avvertita, di una dimensione anche più gioiosa e partecipata, sicuramente sono elementi, sono fattori su cui dobbiamo riflettere, perché sono esigenze reali della persona umana. Evidentemente, le nostre comunità devono anche un po’ rimotivare e riflettere su se stesse. Questo, in prima battuta. Un secondo motivo che abbiamo analizzato è che a volte questi nuovi movimenti fanno delle promesse facili, non solo sotto il profilo strettamente spirituale, ma anche sotto il profilo materiale e fisico del successo nella vita: queste sono promesse che poi non si adempiono e che deludono. Tant’è vero che al recente Sinodo sulla nuova evangelizzazione, molti vescovi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina, dicevano: sì, questo fenomeno del passaggio dalla Chiesa cattolica ai nuovi movimenti esiste, però c’è anche il fenomeno contrario, un fenomeno di ritorno, quindi, proprio perché la gente vede che le promesse di benessere materiale, di superamento delle varie povertà e via discorrendo non si realizzano, come è ovvio. Un terzo elemento, a mio parere, è una “teologia facile”, o se vogliamo un “messaggio religioso facile” da parte di questi movimenti che non mi pare chiedano un notevole impegno di approfondimento teologico, dottrinale. Puntano molto di più sull’esperienza dell’essere insieme e quindi sull’emotività molto forte dei soggetti, che fa parte dell’uomo ma che non è tutto l’uomo. Questo è un elemento che, evidentemente, le Chiese storiche non possono rincorrere: puntare sull’emotività e tralasciare l’impegno quotidiano … L’ultimo elemento che abbiamo messo in rilevo, è che spesso i nuovi movimenti sono un po’ deboli - se non addirittura assenti - sul piano della dimensione sociale: il messaggio, l’esperienza sono molto centrati sul singolo, sulla persona, se pure insieme, per creare un grande pathos collettivo, ma quello che riguarda la trasformazione della società - rispetto alla giustizia, alla pace e via discorrendo – sembra affidato più al singolo, ma in termini estremamente personalistici. Quindi, sono elementi su cui bisogna riflettere e su cui stiamo riflettendo, per fare tesoro della parte che ci può riguardare direttamente e per valutare serenamente anche aspetti che sono certamente limitati.

D. – Nell’Anno della Fede, questi nuovi movimenti ci stanno dicendo che c’è una forte “domanda di Dio”. Come la Chiesa italiana, le Chiese storiche devono rispondere a questa “domanda di Dio”?

R. – Intanto, con una catechesi più profonda, più articolata e fedele, che però sia sempre congiunta con un’esperienza globale della vita cristiana, di cui la catechesi è evidentemente un elemento. Poi, c’è la vita sacramentale, la vita di preghiera personale, la liturgia, la testimonianza della carità, la comunità cristiana, ecclesiale; quindi, l’esperienza è un percorso e non è soltanto un fattore. Certamente, il fattore della catechesi è un fattore importante. Si parla di “analfabetismo religioso” e l’analfabetismo si colma attraverso l’approfondimento dottrinale. Una seconda cosa - risuonata anche nel Sinodo – è una maggiore attenzione alla pietà popolare, alla devozione popolare, che qualche volta abbiamo un po’ guardato come una forma di serie B della religiosità, ma che fa parte dell’umano. La devozione è, certo, da purificare laddove deve essere purificata, anche da sostanziare, ma assolutamente da valorizzare.

Durante l’incontro il cardinale Péter Erdő, arcivescovo di Esztergom-Budapest e presidente del Ccee, ha parlato dei pericoli, anche di carattere politico, che la Chiesa in Europa oggi corre, con il rischio di essere strumentalizzata o emarginata. Questa la sua analisi:RealAudioMP3

R. – E’ sempre stato così! Da un lato ci sono, e c’erano anche prima, correnti in Europa che vorrebbero eliminare la religione come tale, almeno dalla vita pubblica se non dall’intera società. Una forma piuttosto forte di questo tentativo è stato il comunismo: nei nostri Paesi ne abbiamo fatto un’esperienza abbastanza dettagliata. Però, ci sono anche tentativi diversi: c’è quello di far riferimento ad una certa tradizione – tradizione che oggi forse non è più così forte nei singoli Paesi europei – che vorrebbe servirsi dell’aiuto delle Chiese restringendo però la loro attività a manifestazioni che potrebbero sembrare politicamente corrette. E’ difficile operare solamente nel campo assistenziale o sociale senza trasmettere le verità fondamentali della nostra fede! Quindi, la vita della Chiesa è complessa … Il contenuto della nostra fede non è a nostra disposizione: noi non possiamo inventare la nostra fede sempre di nuovo, a seconda dei desideri dell’ambiente; ma certamente possiamo riflettere sulla realtà intorno a noi in base alla nostra eredità cristiana: non siamo, infatti, una religione puramente filosofica e neppure una religione di sole emozioni, ma siamo una religione rivelata che necessariamente deve far riferimento al fatto storico della Rivelazione – nel nostro caso, alla Persona di Gesù Cristo.

D. – La sua esperienza di vita in Ungheria, come può aiutare a comprendere quale sia il senso della collaborazione ecumenica?

R. – Anche in Ungheria, il movimento ecumenico ha un passato ricco di esperienze. Certo, negli ultimi due anni in tutta Europa si sono manifestati fenomeni che parlano di una certa chiusura da parte di alcune Chiese o comunità. Eppure, la tendenza generale è rimasta ferma: miglioramento delle relazioni umane, presa di coscienza della nostra fratellanza nella fede attraverso la Persona di Gesù Cristo, ma anche il rispetto verso le differenze. Sarebbe infatti un ecumenismo troppo facile, negare le differenze teologiche che ci sono tra di noi, soltanto per sentirci bene insieme. Noi dobbiamo sentirci sempre meglio, insieme, ma dobbiamo anche lavorare insieme in quei campi in cui è possibile. Parlo per esempio della testimonianza nel campo sociale, nel campo morale: una voce cristiana che la società molto spesso aspetta. Questi sicuramente sono ambiti di solidarietà, e in questi abbiamo esperienze molto positive, soprattutto con le Chiese ortodosse, perché la loro visione teologica sull’essere umano, sulla famiglia, sul matrimonio ma anche sulla vita è uguale alla visione cattolica, e quindi è anche più facile formulare una posizione comune.

Ultimo aggiornamento: 7 febbraio







All the contents on this site are copyrighted ©.