2013-02-05 08:03:06

Trilaterale a Londra. Impegno di Kabul e Islamabad per un piano di pace per l’Afghanistan


Kabul e Islamabad si impegnano a realizzare "un piano di pace per l’afghanistan entro sei mesi". E’ la sfida lanciata da Londra al vertice a cui hanno partecipato, ieri, il premier Cameron il presidente pakistano, Asif Ali Zardari, quello afghano, Hamid Karzai. Lanciato anche un appello affinché i talebani partecipino ai colloqui di pace. Sullo sfondo la paura che ci sia una recrudescenza del fondamentalismo soprattutto dopo l’uscita dall’Afghanistan, delle truppe ISAF nel 2014. Giancarlo La Vella ha intervistato Riccardo Redaelli, docente di Storia e Istituzioni del mondo islamico all’Università Cattolica di Milano:RealAudioMP3

R. - In realtà, Pakistan e Afghanistan sono già da tempo in una fase di caos: la stabilizzazione del Paese afgano, dopo il 2001, con la cacciata dei talebani, non si è mai pienamente realizzata, anzi, con il passare degli anni, è aumentata l’instabilità e si è avuto il ritorno di questa galassia talebana, ed il governo afgano, appoggiato dall'Occidente, si è rivelato estremamente corrotto ed inefficiente. L’uscita di scena delle truppe Nato, che è ormai ineludibile, dato che la comunità internazionale è stanchissima e tutti i governi vogliono ritirarsi, molto probabilmente aggraverà questo stato di instabilità strutturale dentro il Paese.

D. - Il progetto dei talebani è soltanto ideologico, o il controllo della zona tra Afghanistan e Pakistan rappresenta strategicamente qualcosa di importante?

R. - "Talebano" è oggi un’etichetta un po' di comodo: c’è un gruppo più ideologico, legato ancora al Mullah Omar e ai talebani del 2001; esiste poi una serie di gruppi talebani “per convenienza” o per affiliazione tribale: le popolazioni rurali pashtun, da una parte e dell’altra parte della frontiera tra Afghanistan e Pakistan, si riconoscono spesso nel messaggio dei talebani, ma soprattutto preferiscono un governo ed un’amministrazione più ordinata e meno corrotta rispetto a quella dell'attuale governo di Kabul. Poi ci sono in gioco gli interessi geopolitici: questa è un’area fondamentale dal punto di vista degli snodi del continente Euroasiatico, cruciale nella competizione tra India e Pakistan e anche per il grande traffico di droga, prodotta, per quanto riguarda l’oppio e l’eroina, in massima parte in Afghanistan. Quindi, ci sono interessi da miliardi di dollari in gioco e questo è ben più importante dell'affermazione dell’ideologia islamista.

D. - La comunità internazionale ha i mezzi per prevenire un’ipotesi di ricaduta di questi due Paesi, in una situazione di caos, da qui al 2014?

R. - Potenzialmente sì. Li aveva anche nel 2001, quando c'è stato l'ingresso in Afghanistan, ma ha giocato male le proprie carte. In realtà, quello che è davanti agli occhi di tutti è che queste missioni di stabilizzazione non sono delle guerre per combattere un nemico, ma rappresentano un impegno lunghissimo, snervante, costosissimo in termini umani e finanziari. Di fatto, l’Occidente che è in crisi, stanco e disilluso, non ha più voglia di impegnarsi in attività del genere. Quello che dovrebbe continuare a fare è cercare di impostare una transizione perlomeno credibile ed assicurare un sostegno in termini di assistenza alle forze locali di polizia e di ricostruzione del Paese. Sarà molto difficile farlo, ma l’alternativa - cioè l’inazione - è un'ipotesi assolutamente peggiore, come stanno dimostrando, ad esempio, gli eventi nell’Africa subsahariana e recentemente in Mali. Non agire aggrava i problemi, anche se sappiamo che comunque l’azione produce effetti limitati e molto costosi.







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