Londra: vertice sul futuro dell'Afghanistan dopo il 2014
Il presidente afghano Hamid Karzai e il suo collega pachistano Asif Ali Zardari si
sono impegnati a concludere un accordo sulla pace in Afghanistan entro sei mesi, al
termine di un incontro a Londra con il premier David Cameron. Nel 2014 le truppe Nato
poi lasceranno del tutto il Paese. Giancarlo La Vella ha intervistato Riccardo
Redaelli, docente di Storia e Istituzioni del mondo islamico all’Università Cattolica
di Milano::
R. - In realtà,
Pakistan e Afghanistan sono già da tempo in una fase di caos: la stabilizzazione del
Paese afgano, dopo il 2001, con la cacciata dei talebani, non si è mai pienamente
realizzata, anzi, con il passare degli anni, è aumentata l’instabilità e si è avuto
il ritorno di questa galassia talebana, ed il governo afgano, appoggiato dall'Occidente,
si è rivelato estremamente corrotto ed inefficiente. L’uscita di scena delle truppe
Nato, che è ormai ineludibile, dato che la comunità internazionale è stanchissima
e tutti i governi vogliono ritirarsi, molto probabilmente aggraverà questo stato di
instabilità strutturale dentro il Paese.
D. - Il progetto dei talebani è soltanto
ideologico, o il controllo della zona tra Afghanistan e Pakistan rappresenta strategicamente
qualcosa di importante?
R. - "Talebano" è oggi un’etichetta un po' di comodo:
c’è un gruppo più ideologico, legato ancora al Mullah Omar e ai talebani del 2001;
esiste poi una serie di gruppi talebani “per convenienza” o per affiliazione tribale:
le popolazioni rurali pashtun, da una parte e dell’altra parte della frontiera tra
Afghanistan e Pakistan, si riconoscono spesso nel messaggio dei talebani, ma soprattutto
preferiscono un governo ed un’amministrazione più ordinata e meno corrotta rispetto
a quella dell'attuale governo di Kabul. Poi ci sono in gioco gli interessi geopolitici:
questa è un’area fondamentale dal punto di vista degli snodi del continente Euroasiatico,
cruciale nella competizione tra India e Pakistan e anche per il grande traffico di
droga, prodotta, per quanto riguarda l’oppio e l’eroina, in massima parte in Afghanistan.
Quindi, ci sono interessi da miliardi di dollari in gioco e questo è ben più importante
dell'affermazione dell’ideologia islamista.
D. - La comunità internazionale
ha i mezzi per prevenire un’ipotesi di ricaduta di questi due Paesi, in una situazione
di caos, da qui al 2014?
R. - Potenzialmente sì. Li aveva anche nel 2001, quando
c'è stato l'ingresso in Afghanistan, ma ha giocato male le proprie carte. In realtà,
quello che è davanti agli occhi di tutti è che queste missioni di stabilizzazione
non sono delle guerre per combattere un nemico, ma rappresentano un impegno lunghissimo,
snervante, costosissimo in termini umani e finanziari. Di fatto, l’Occidente che è
in crisi, stanco e disilluso, non ha più voglia di impegnarsi in attività del genere.
Quello che dovrebbe continuare a fare è cercare di impostare una transizione perlomeno
credibile ed assicurare un sostegno in termini di assistenza alle forze locali di
polizia e di ricostruzione del Paese. Sarà molto difficile farlo, ma l’alternativa
- cioè l’inazione - è un'ipotesi assolutamente peggiore, come stanno dimostrando,
ad esempio, gli eventi nell’Africa subsahariana e recentemente in Mali. Non agire
aggrava i problemi, anche se sappiamo che comunque l’azione produce effetti limitati
e molto costosi.