2013-02-04 12:38:34

Londra: vertice sul futuro dell'Afghanistan dopo il 2014


Il presidente afghano Hamid Karzai e il suo collega pachistano Asif Ali Zardari si sono impegnati a concludere un accordo sulla pace in Afghanistan entro sei mesi, al termine di un incontro a Londra con il premier David Cameron. Nel 2014 le truppe Nato poi lasceranno del tutto il Paese. Giancarlo La Vella ha intervistato Riccardo Redaelli, docente di Storia e Istituzioni del mondo islamico all’Università Cattolica di Milano::RealAudioMP3

R. - In realtà, Pakistan e Afghanistan sono già da tempo in una fase di caos: la stabilizzazione del Paese afgano, dopo il 2001, con la cacciata dei talebani, non si è mai pienamente realizzata, anzi, con il passare degli anni, è aumentata l’instabilità e si è avuto il ritorno di questa galassia talebana, ed il governo afgano, appoggiato dall'Occidente, si è rivelato estremamente corrotto ed inefficiente. L’uscita di scena delle truppe Nato, che è ormai ineludibile, dato che la comunità internazionale è stanchissima e tutti i governi vogliono ritirarsi, molto probabilmente aggraverà questo stato di instabilità strutturale dentro il Paese.

D. - Il progetto dei talebani è soltanto ideologico, o il controllo della zona tra Afghanistan e Pakistan rappresenta strategicamente qualcosa di importante?

R. - "Talebano" è oggi un’etichetta un po' di comodo: c’è un gruppo più ideologico, legato ancora al Mullah Omar e ai talebani del 2001; esiste poi una serie di gruppi talebani “per convenienza” o per affiliazione tribale: le popolazioni rurali pashtun, da una parte e dell’altra parte della frontiera tra Afghanistan e Pakistan, si riconoscono spesso nel messaggio dei talebani, ma soprattutto preferiscono un governo ed un’amministrazione più ordinata e meno corrotta rispetto a quella dell'attuale governo di Kabul. Poi ci sono in gioco gli interessi geopolitici: questa è un’area fondamentale dal punto di vista degli snodi del continente Euroasiatico, cruciale nella competizione tra India e Pakistan e anche per il grande traffico di droga, prodotta, per quanto riguarda l’oppio e l’eroina, in massima parte in Afghanistan. Quindi, ci sono interessi da miliardi di dollari in gioco e questo è ben più importante dell'affermazione dell’ideologia islamista.

D. - La comunità internazionale ha i mezzi per prevenire un’ipotesi di ricaduta di questi due Paesi, in una situazione di caos, da qui al 2014?

R. - Potenzialmente sì. Li aveva anche nel 2001, quando c'è stato l'ingresso in Afghanistan, ma ha giocato male le proprie carte. In realtà, quello che è davanti agli occhi di tutti è che queste missioni di stabilizzazione non sono delle guerre per combattere un nemico, ma rappresentano un impegno lunghissimo, snervante, costosissimo in termini umani e finanziari. Di fatto, l’Occidente che è in crisi, stanco e disilluso, non ha più voglia di impegnarsi in attività del genere. Quello che dovrebbe continuare a fare è cercare di impostare una transizione perlomeno credibile ed assicurare un sostegno in termini di assistenza alle forze locali di polizia e di ricostruzione del Paese. Sarà molto difficile farlo, ma l’alternativa - cioè l’inazione - è un'ipotesi assolutamente peggiore, come stanno dimostrando, ad esempio, gli eventi nell’Africa subsahariana e recentemente in Mali. Non agire aggrava i problemi, anche se sappiamo che comunque l’azione produce effetti limitati e molto costosi.







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