Assad contro Israele: ci vuole destabilizzare. Da Tel Aviv implicita ammissione sui
raid in territorio siriano
Assad tuona contro Israele: tenta di destabilizzare il regime. Il riferimento è al
doppio raid aereo dei giorni scorsi in territorio siriano, mentre la Turchia, pur
essendo il nemico numero uno del regime di Damasco, accusa lo Stato ebraico di „terrorismo“
internazionale. Intanto Russia e Iran, i due principali sponsor internazionali del
presidente Bashar al Assad, hanno nelle ultime 24 ore incontrato per la prima volta
il leader dell'opposizione siriana al Khatib. Il servizio è di Salvatore Sabatino:
E’ una vera
e propria guerra di parole quella che si sta combattendo tra Siria e Israele. Da
una parte Assad che accusa lo Stato ebraico di voler destabilizzare il suo Paese,
dall’altra il ministro della difesa israeliano Barak che alla Conferenza sulla Sicurezza
di Monaco sottolinea che non dovrebbe essere consentito trasferire in Libano armi
sofisticate“. Il riferimento, che vale come ammissione molto implicita, è al duplice
raid dell’aviazione con la stella di David in territorio siriano; attacchi che hanno
fatto crescere il livello di allarme su una possibile regionalizzazione del conflitto.
E le parole del premier turco Erdogan non aiutano a far calare la tensione; da Ankara
accusa Israele di aver fatto ''terrorismo di Stato'', e parla di una ''violazione
inaccettabile del diritto internazionale''. Sul fronte diplomatico, invece, Damasco
sembra perdere l’appoggio completo ed incondizionato dei due suoi maggiori sponsor.
La dimostra arriva sempre da Monaco, dove i ministri degli Esteri di Russia e Iran,
Lavrov e Salehi, nelle ultime 24 ore incontrato, e per la prima volta in assoluto,
il leader dell'opposizione siriana in esilio Al Khatib. Sul terreno, invece, proseguono
le violenze: almeno 95 persone hanno perso la vita solo ieri: di queste, circa una
trentina sono morte ad Aleppo nel crollo di una palazzina colpita da bombe dell'aviazione
governativa. Tra le vittime ci sarebbero sette bambini e numerose donne.
E
intanto è sempre più grave l’emergenza umanitaria, soprattutto nei numerosi i campi
profughi improvvisati, dove si rifugiano gli sfollati che non trovano posto nelle
strutture di accoglienza ufficiali. Giancarlo La Vella ha raccolto la testimonianza
della giornalista Susan Dabbous, che si trova al confine tra Siria e Turchia:
R. – In particolare,
ho visto che c’era una situazione drammatica nella cittadina di Atme, pochi chilometri
dal confine turco, dove è nata una baraccopoli di oltre 20 mila profughi, che vivono
in condizioni disumane. Alloggiano in tende da campeggio, dato che non ci sono tende
adeguate, come invece nei campi profughi turchi, che ormai però hanno esaurito la
capacità di accoglienza.
D. – C’è una esperienza ancora più drammatica, che
è quella delle persone che si sono rifugiate all’interno di alcune grotte, addirittura
…
R. – Sì: questo accade nella località di Darkush. Queste grotte si trovano
a 3-5 metri di altezza dalla strada; quindi a volte, i bambini, giocando, finiscono
di sotto e si feriscono, si fratturano anche in maniera grave. Poi, immaginate una
vita senza acqua, senza elettricità, senza assolutamente nulla! E queste persone non
hanno nessuna possibilità di essere raggiunte dalle organizzazioni umanitarie.
D.
– Questo vuol dire che la macchina degli aiuti ha a sua volta difficoltà a raggiungere
tutte le persone che hanno bisogno di beni di prima necessità?
R. – Sì! Ci
sono difficoltà enormi, perché se escludiamo i campi profughi in Turchia, dove c’è
la macchina organizzativa di Ankara che funziona piuttosto bene, il problema più grave
rimangono i profughi interni alla Siria, e lì la cosa viene gestita da una galassia
di organizzazioni siriane, di siriani all’estero o arabi in generale, senza nessun
coordinamento. Le cose principali che arrivano ai profughi in questo momento sono
cibo, poche medicine generiche, alcuni medici volontari, ma niente di più. Dall’altro
lato, però, non è colpa soltanto della disorganizzazione: tutto ciò che arriva, arriva
soltanto a ridosso del confine turco e non riesce ad andare più all'interno del territorio
siriano, mentre sappiamo che, ad esempio, i civili di Aleppo, che è una città estremamente
popolosa, vivono in condizioni ancora peggiori, perché molti non hanno neanche il
pane. Ho notato più disperazione rispetto ai miei viaggi precedenti. Se prima c’era
sempre la speranza di tornare a casa, adesso c’è la consapevolezza che questo conflitto
sarà lungo e che loro continueranno a vivere nella miseria. Molte delle loro case
sono distrutte; molti di questi profughi vivono in località tuttora bombardate quotidianamente.