Crisi siriana al centro della Conferenza per la sicurezza di Monaco. Cresce l'allarme
profughi
La crisi siriana al centro della conferenza sulla sicurezza di Monaco, in Germania.
Il vicepresidente americano, Joe Biden, ha rilanciato l’ipotesi di una uscita di scena
del presidente Assad, auspicando un maggior appoggio internazionale all’opposizione.
Intanto, mentre esercito e insorti continuano a combattere, si è saputo oggi di un
attentato suicida del 24 gennaio scorso contro una base dell’intelligence siriana
nel sud-est del Paese: 53 le vittime. Sempre più grave, dunque, l’emergenza umanitaria.
L’Unicef denuncia anche un’emergenza istruzione per i tanti bambini che non possono
più amdare a scuola. Numerosi i campi profughi improvvisati, dove si rifugiano gli
sfollati che non trovano posto nelle strutture di accoglienza ufficiali. Giancarlo
La Vella ha raccolto la testimonianza della giornalista Susan Dabbous,
che si trova al confine tra Siria e Turchia:
R. – In particolare,
ho visto che c’era una situazione drammatica nella cittadina di Atme, pochi chilometri
dal confine turco, dove è nata una baraccopoli di oltre 20 mila profughi, che vivono
in condizioni disumane. Alloggiano in tende da campeggio, dato che non ci sono tende
adeguate, come invece nei campi profughi turchi, che ormai però hanno esaurito la
capacità di accoglienza.
D. – C’è una esperienza ancora più drammatica, che
è quella delle persone che si sono rifugiate all’interno di alcune grotte, addirittura
…
R. – Sì: questo accade nella località di Darkush. Queste grotte si trovano
a 3-5 metri di altezza dalla strada; quindi a volte, i bambini, giocando, finiscono
di sotto e si feriscono, si fratturano anche in maniera grave. Poi, immaginate una
vita senza acqua, senza elettricità, senza assolutamente nulla! E queste persone non
hanno nessuna possibilità di essere raggiunte dalle organizzazioni umanitarie.
D.
– Questo vuol dire che la macchina degli aiuti ha a sua volta difficoltà a raggiungere
tutte le persone che hanno bisogno di beni di prima necessità?
R. – Sì! Ci
sono difficoltà enormi, perché se escludiamo i campi profughi in Turchia, dove c’è
la macchina organizzativa di Ankara che funziona piuttosto bene, il problema più grave
rimangono i profughi interni alla Siria, e lì la cosa viene gestita da una galassia
di organizzazioni siriane, di siriani all’estero o arabi in generale, senza nessun
coordinamento. Le cose principali che arrivano ai profughi in questo momento sono
cibo, poche medicine generiche, alcuni medici volontari, ma niente di più. Dall’altro
lato, però, non è colpa soltanto della disorganizzazione: tutto ciò che arriva, arriva
soltanto a ridosso del confine turco e non riesce ad andare più all'interno del territorio
siriano, mentre sappiamo che, ad esempio, i civili di Aleppo, che è una città estremamente
popolosa, vivono in condizioni ancora peggiori, perché molti non hanno neanche il
pane. Ho notato più disperazione rispetto ai miei viaggi precedenti. Se prima c’era
sempre la speranza di tornare a casa, adesso c’è la consapevolezza che questo conflitto
sarà lungo e che loro continueranno a vivere nella miseria. Molte delle loro case
sono distrutte; molti di questi profughi vivono in località tuttora bombardate quotidianamente.