"Gesù nel fratello" al centro del Convegno dei vescovi amici del "Movimento dei Focolari"
Si è concluso giovedì scorso, a Roma, il consueto raduno tra i vescovi "amici del
Movimento dei Focolari" d’inizio anno che, questa volta, si moltiplicherà in diverse
regioni del mondo tra cui Libano, Corea del Sud, Camerun, Madagascar, Stati Uniti,
Brasile e Germania. Una trentina i vescovi partecipanti che mercoledì scorso, all’udienza
generale, hanno ricevuto il saluto e l’incoraggiamento di Benedetto XVI. Oltre all’approfondimento
del tema centrale, “Gesù nel fratello”, nelle giornate d’incontro hanno trovato spazio
riflessioni e confronto sulla nuova evangelizzazione e la spiritualità di comunione
nell’oggi della Chiesa e del mondo, la sfida della sinodalità ecclesiale, la storia
dei Focolari in relazione al Concilio Vaticano II. Adriana Masotti ha chiesto
un commento a due dei presuli presenti: mons. Francisco Perez Gonzalez, arcivescovo
di Pamplona e Tudela, in Spagna, e mons. Anton Cosa, Vescovo di Chisinau, nella
Repubblica di Moldova. Ecco le loro riflessioni:
R. – Come
ci dice la Parola di Dio anche i demoni hanno la fede ma non hanno la carità. La fede
senza la carità non serve a niente, le due cose devono andare insieme, tanta fede
quanta carità. Per questo io mi sono chiesto: come posso vivere la fede? E subito
dopo: come vivo la carità verso gli altri, con i miei preti, con i fedeli, nelle visite
pastorali, nei rapporti personali, nei rapporti comunitari? Vivendo la carità, per
amore di Dio, uno crede, perché la fede non è teorica, la fede è credere nell’amore
di Dio e metterlo in pratica.
D. – Il Papa nel saluto all’udienza a voi vescovi
ha detto che auspica che il carisma dell’unità a cui fate riferimento vi possa aiutare
nel vostro ministero apostolico. Questo carisma dell’unità in che modo aiuta lei in
questo? R. – La mia diocesi è una diocesi di 700mila abitanti e ci sono diverse
tradizioni, anche due lingue, lo spagnolo e il basco. La realtà a volte è stata molto
dura. Adesso sembra ci sia un punto di speranza, che l’Eta lasci veramente le armi,
che lasci tutto per cominciare un periodo di pace. Adesso bisogna ricostruire quello
che c’è da ricostruire di umanità, di unità, di fratellanza e per questo bisogna anche
mettersi nella linea di quello che dice Gesù. Dobbiamo chiedere perdono e pentirci
del male che si è fatto e, poi, andare avanti. Speriamo che questo si faccia. Dico
sempre che la pedagogia della Chiesa, cioè riconoscere il peccato, pentirsi, chiedere
perdono e non commettere più il male, è la pedagogia migliore, la pedagogia che ci
manifesta il Vangelo e che ci manifesta Gesù.
La testimonianza di mons.
Anton Cosa, sempre al microfono di Adriana Masotti:
R. - Ormai sono
vescovo da 13 anni e durante questi anni mi sono molto avvicinato a questo carisma
dell’unità di Chiara Lubich. Mi sento molto confortato nel mio essere e nel mio lavoro
di vescovo, perché Chiara ci ha insegnato ad essere vescovi mariani, cioè vescovi
che seguendo Maria, seguendo la sua donazione, la sua umiltà si aprono a tutto il
mondo. Io sono l’unico vescovo in tutto il mio Paese, però la spiritualità di unità
che noi accogliamo e riconfermiamo ogni anno, ogni volta che ci raduniamo insieme,
ci dà la certezza che anche se siamo lontani non siamo mai soli, perché viviamo l’unità
anche a distanza. E il Vangelo dice che dove due o tre sono radunati nel suo nome,
lì c’è Gesù.
D. - Che cosa vuol dire lavorare per l’unità nella sua diocesi?
R.
- È una grande sfida, perché i cattolici in questa terra moldava sono una piccola
diaspora, cioè siamo pochissimi in rapporto alla maggioranza ortodossa - siamo
circa 20 mila cattolici - e oltre a questo siamo anche molto diversi, di varie lingue,
culture e appartenenze etniche. Creare unità non è facile, però all’interno di tutto
questo il vescovo ha il suo ruolo e io cerco di essere quel punto di riferimento:
offro e chiedo a tutti una massima apertura partendo dalla mia testimonianza.
D.
- Al centro dell’incontro di questi giorni, c’è stata la riflessione sul tema che
il Movimento dei Focolari ha scelto quest’anno di approfondire: l’amore al fratello.
Che cosa ci vuol dire su questo?
R. – Il fratello, potremmo anche dire: "l’altro
dà a me, un altro me" ….. io ho capito che non esiste un’altra via per evangelizzare,
per creare ponti, per offrire speranza. Vivere accanto al fratello che il Signore
ci mette vicino è una sfida ma ogni fratello che tu incontri, ogni fratello che hai
ascoltato è un modo per vivere il Vangelo, è un atto di fede. E’ quello che ci chiede
anche quest’Anno della Fede, cioè far crescere la nostra fede, però senza carità non
c’è la fede. Prima dobbiamo credere che Lui ci ha amati e poi noi dobbiamo fare il
nostro passo. Io come vescovo non potrei essere più in grado di servire la Chiesa
e di compiere il mio ministero se non andando su questa via: la via del fratello.