Aiuto alla Chiesa che Soffre ricorda il fondatore, padre van Straaten, a 10 anni dalla
morte
“Aiuto alla Chiesa che Soffre”, Acs, ha ricordato ieri con un convegno a Roma il suo
fondatore, padre Werenfried van Straaten, a dieci anni dalla morte e a cento anni
dalla nascita. Nel pomeriggio, il presidente di Acs-Italia, mons. Sante Babolin, ha
presieduto una Santa Messa nella Basilica di Santa Maria in Trastevere. “Aiuto alla
Chiesa che Soffre”, Fondazione di diritto pontificio avviata nel 1947 da padre van
Straaten, realizza progetti per sostenere la pastorale della Chiesa laddove essa è
perseguitata o priva di mezzi per adempiere la sua missione. Nel 2011 ha realizzato
oltre 4.600 progetti in 145 nazioni. Per un ricordo di padre van Straaten, Fausta
Speranza ha intervistato Antonia Willemsen, già segretaria generale di
Aiuto alla Chiesa che Soffre e storica collaboratrice del monaco premostratense:
R. - Una delle
cose più forti che ricordo è che lui ha creduto molto nell’uomo, ha sempre detto:
“L’Uomo è molto migliore di quello che pensiamo; ma anche Dio è molto migliore di
quello che pensiamo!”. Questo trova fondamento in quello che ha vissuto nella sua
vita: la generosità della gente molto spesso ha superato la sua immaginazione. Questa
per me è stata una delle cose più importanti.
D. – Ecco, però, padre van Straaten
è riuscito a farsi strumento, è riuscito ad intercettare la generosità delle persone.
Secondo lei, qual è stato il suo segreto?
R. – Il segreto era nella sua capacità
di combinare due cose. Chiedeva aiuto per chi soffriva e allo stesso tempo aveva come
compito la pastorale per i benefattori: ha sempre dato risposte a situazioni difficili
per la fede, per la coscienza e così ha sempre coniugato questi due aspetti.
D.
– Lei è stata anche segretario generale di Aiuto alla Chiesa che soffre: quali sono
stati gli impegni più significativi?
R. – Lui ha incominciato con i religiosi
espulsi, dando aiuto a queste persone nella Germania distrutta. Poi, contemporaneamente,
ha dovuto convincere le popolazioni in Belgio, Olanda e nell’Europa occidentale a
non odiare più il nemico di ieri: i tedeschi, e a comportarsi da cristiani. Questo
è stato un aspetto. Poi, ha iniziato a lavorare per la Chiesa “oltrecortina”: è stato
molto difficile, perché apertamente non si potevano aiutare la maggior parte dei Paesi
dell’Est. Poi è venuto il cosiddetto Terzo Mondo, quindi America Latina, Africa e
Asia. Una cosa molto importante è stata la Fondazione dei Figli e delle Figlie della
Risurrezione in Congo: oggi conta 200 membri. In America Latina è stato importante,
all’inizio, valutare come poter aiutare: così abbiamo scelto di sostenere tre istituti
in Brasile, Cile e Colombia per poter successivamente sostenere meglio dove potesse
essere necessario.
D. – Ci sarà stato un momento in cui ha visto padre van
Straaten un po’ scoraggiato?
R. – Sì. Padre van Straaten aveva fondato anche
i “Soci costruttori”, negli anni Cinquanta. Fu un gran successo: tanti giovani hanno
collaborato, sono andati in Germania a costruire chiese, case ... Ad un certo momento
ha dovuto lasciare i “Soci costruttori” perché il suo abate riteneva che questa istituzione
avesse preso il sopravvento e che lui dovesse continuare soltanto con “Aiuto alla
Chiesa che soffre” e non più con i “Soci costruttori”. In quel momento l’ho visto
veramente scoraggiato!
D. – E poi, che cosa gli ha dato il coraggio di andare
avanti?
R. – Prima di morire, ne ha parlato di nuovo: aveva superato quel momento
riconoscendo la necessità di continuare il suo lavoro oltrecortina, in America Latina
e così via; ha visto la necessità perché tantissimi benefattori avevano creduto in
lui. Ma se lei mi chiede: “Quando l’ha visto scoraggiato?”, ecco, quello era stato
il momento più grave per lui.