Una suora comboniana al fianco dei profughi del Sinai
Al fianco dei profughi del Sinai, senza risparmio di forze. E' la missione che sta
portando avanti in Israele, suor Azezet Kidane, religiosa comboniana. Un impegno che
è stato al centro di un convegno, tenutosi nei giorni scorsi, all'Università di Betlemme.
Il servizio di Andrea Avveduto, del "Franciscan Media Center" di Gerusalemme:
Suor Azezet
Kidane lavora in una clinica a Jaffa e si prende cura dei profughi africani che tentano
di raggiungere Israele. I più cercano di fuggire dalla desolazione del proprio Paese
e arrivano nella Terra Promessa per cercare lavoro. Ma le difficoltà, per chi
non gode di nessuno stato giuridico, sono tante. Suor Azezet le ha raccontate durante
i lavori della "Holy Land Coordination", all’Università di Betlemme. La religiosa,
che recentemente ha ricevuto il riconoscimento di eroe del Dipartimento Usa contro
il traffico di persone, si è soffermata molto sulle violenze che subiscono i rifugiati
eritrei nel Sinai, dove le donne vengono abusate e gli uomini torturati. In gran parte
sono cristiani:
“I cristiani sono circa 45.000. I rifugiati sono cristiani:
pochi sono musulmani darfouriani, gli altri sono tutti cristiani. In questo campo
delle donne vado tre volte alla settimana, però al telefono le sento sempre, di notte
e di giorno. Anche adesso, durante la conferenza, ho avuto 3-4 chiamate di persone
che hanno bisogno".
Storie di sofferenza e soprusi, ma anche episodi di
speranza e di fede viva. Sono anche queste le persone che suor Azezet ha preso a cuore.
Tristi, ma mai disperati. Testimonianze da cui Azezet ha imparato tanto:
“Ti
impressionano per la loro fede. Nonostante tutta la sofferenza che hanno passato,
tutta la disperazione e la vergogna che hanno vissuto, gli abusi sessuali, loro dicono
‘il Signore era con me’, e la fede li accompagna”.
Tra questi ci sono storie
che hanno dello straordinario e che commuovono. Storie che testimonia questa piccola
suora comboniana, che ogni giorno si dà un gran daffare per aiutare tutti quegli sventurati,
che arrivano alla sua clinica:
“Una donna è stata abusata, si chiama Gennet.
Ha avuto un bambino e l’ha chiamato Emanuele, perché dice: “Questo me l’ha dato il
Signore”. Invece di arrabbiarsi con il bambino, l’ha preso come dono di Dio per lei.
Questo per me è un cammino di fede”.