2013-01-27 08:25:16

Giornata mondiale contro la lebbra. Un medico indiano: l'amore vince la discriminazione


Nel solo anno 2011, 200mila persone hanno contratto il morbo di Hansen, meglio conosciuto come lebbra. Ieri si è celebrata la 60.ma Giornata mondiale della lotta a questa malattia e l’Aifo – Associazione Italiana Amici di Raoul Follerau – come ogni anno ha distribuito nelle piazze italiane il “miele della solidarietà”. Dal canto suo, riferisce l'agenzia Fides, la Chiesa gestisce nel mondo 547 lebbrosari. Benedetta Capelli ha intervistato il medico indiano Sunil Deepak, responsabile Aifo per l'attività scientifica:RealAudioMP3

R. - La lebbra è una malattia antica, da una parte è conosciuta da tutti e dall’altra quasi tutti pensano che sia una malattia del passato. Oggi abbiamo più o meno 220-230 mila nuovi malati ogni anno, ma di sicuro ce ne sono altrettanti che sono "nascosti" perché è una malattia che ancora incute molta paura. Invece, non dovrebbe essere così, perché esistono le medicine e si può guarire senza che vi sia alcun segno della malattia sul corpo.

D. - Quali sono i Paesi nei quali questa malattia è più diffusa?

R. - Il mio Paese - l’India - che da solo ha più o meno il 60% di tutti i malati di lebbra del mondo. L’India ha fatto grandi progressi perché, fino a sei anni fa, avevamo più o meno mezzo milione di nuovi malati; oggi ne abbiamo intorno ai 120 mila, ovvero un quarto di quelli che c’erano prima. Questo vuol dire che c’è stato un cambiamento ma purtroppo i numeri sono ancora molto alti. Dopo l’India, il secondo Paese più importante è il Brasile e secondo me sono proprio questi due estremi del mondo - uno all’Est e l’altro all’Ovest - ad essere i più colpiti perché sono due Paesi con forti diseguaglianze. Sono anche Paesi ricchi dove c'è stato un grande sviluppo, ma la lebbra è la malattia della povertà e colpisce chi ha meno difese immunitarie. E questo dipende da cosa mangi, dove vivi, se si vive in condizioni di sovraffollamento, se non si hanno servizi igienici…

D. - Lei è un medico indiano, la sua esperienza come è nata? Come mai è venuto in Italia e si è dedicato alle persone che hanno avuto questa malattia?

R. - Sono un po’ le circostanze che ti portano a lavorare in un certo modo ed io mi sono trovato a lavorare con la lebbra sin dall’inizio. L'Aifo mi ha chiesto di venire a lavorare qui, perché è molto difficile trovare persone che possono viaggiare in tanti Paesi ed è difficile trovare medici che accettino di lavorare nei lebbrosari. Sono sempre posti isolati, fuori dalle città, lontani, senza scuole, senza altri servizi ed il personale sanitario, se ha altre possibilità, preferisce non restare lì. Per questo motivo, i missionari sono stati i primi a curare la lebbra. C’è però anche un grande bisogno di formazione. È stata una grande fortuna lavorare nei lebbrosari; da una parte fa incontrare la miseria perché tante persone che hanno avuto la lebbra raccontano sempre la stessa storia: l’essere cacciati via dal villaggio, l’essere cacciati via dalla famiglia, aver fatto una vita di esclusione. Una storia sempre uguale in qualsiasi cultura ed in qualsiasi Paese. Dall’altra parte, lavorare in questo campo è un’opportunità per incontrare le persone più buone del mondo. E’ una cosa continua quella di incontrare questo concentrato di umanità, la più buona che c’è!

D. - Lei ha parlato di missionari, persone che hanno dato tanto alla lotta per questa malattia. Oggi com’è la situazione?

R. - Mi piacerebbe utilizzare proprio questa opportunità, qui a Radio Vaticana, per fare un appello a tutti i missionari: “Se potete, aprite le porte anche ai malati di lebbra che hanno bisogno e che delle volte bisogna andare a cercare, perché non sempre vengono da soli”. Sono persone con grandi sensi di colpa, persone che sentono in qualche modo di aver meritato questa punizione. Per secoli è stata solo la Chiesa ad essere in prima linea, ad occuparsene e nessun altro. I governi dei Paesi dove la lebbra è una malattia endemica, si sono impegnati soprattutto negli ultimi 20 anni, ma prima nessun altro che se ne occupava. Oggi i medici, infermieri e fisioterapisti più bravi sono spesso missionari.

D. - Cosa sperare negli anni a venire?

R. - L’unico modo per bloccare l’infezione sarebbe migliorare le condizioni socio economiche e rendere il mondo più giusto, ma non so se l’umanità sarà capace di fare questo.

Ultimo aggiornamento: 28 gennaio







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