Nei cinema "In Darkness" film di Agnieszka Holland, storia di un Giusto tra le nazioni
In occasione della Giornata della memoria, è nei cinema italiani il film “In Darkness”
della regista polacca, Agnieszka Holland. E' la storia di un polacco nella Leopoli
del 1943 occupata dai nazisti, che accetta di nascondere, ma solo per soldi, un gruppo
di ebrei e che poi finirà per aiutarli seguendo la sua umanità, rischiando la vita
e divenendo uno dei Giusti tra le nazioni. Il servizio di FrancescaSabatinelli:
E’ il 1943 a
Lvov, Leopoli, città prima polacca, poi passata all’Ucraina sovietica, occupata nel
‘41 dai tedeschi, e che ha conosciuto orribili repressioni, soprattutto contro la
popolazione ebraica, quasi interamente trucidata. E’ in questa Lvov che Leopold Socha,
polacco cattolico, operaio delle fognature, dedito a piccoli furti per mantenere la
famiglia, si troverà ad affrontare la scommessa più dura della sua vita: quella con
la sua stessa umanità. Il bivio per Socha arriva quando nei dedali delle fogne incontra
un gruppo di ebrei, in fuga dal ghetto e dalla furia nazista. Sa che aiutandoli rischia
la morte per mano dei nazisti. Sa anche che, però, può essere un modo per farsi pagare
un bel po’ di denaro. E sceglie questa strada, li nasconde:
“Hai sentito?
Pare che abbiano fatto piazza pulita nel ghetto…
Hai visto qualcosa?
Danno
una ricompensa a chi denuncia un ebreo… Alcuni stanno facendo un mucchio di soldi!”
I
14 mesi vissuti dal gruppo di ebrei sotto le fogne di Leopoli sono anche i 14 mesi
di trasformazione di Socha - lo "Schindler polacco" è stato detto - la cui storia
però è sconosciuta ai più:
“Signor Socha, signor Socha, non possiamo più
pagare… I soldi di venerdì erano gli ultimi: non c’è rimasto niente, niente!.
Signor
Gigel, lo sanno anche gli altri?
No, non l’ho detto apposta!.
Va
bene. Questi sono per venerdì. Me li dia davanti agli altri: non devono pensare che
sono un idiota che lavora e non si fa pagare…”
“In Darkness” è un bel film,
difficile, molte le scene al buio che raccontano la vita nelle fogne, una storia vera
affrontata magistralmente dalla regista polacca Agnieszka Holland, un film tra i finalisti
lo scorso anno agli Oscar come miglior film straniero. Leopold Socha, così come sua
moglie, sono stati riconosciuti da Israele fra i Giusti tra le nazioni, cittadini
non ebrei che hanno agito eroicamente rischiando la propria vita per salvare dalla
Shoah anche un solo ebreo. OlekMincer nel film è Shlomo Lanzberg, una
delle persone aiutate da Socha. Mincer è originario proprio di Leopoli, i suoi genitori
sono nati lì e da lì sono fuggiti durante la guerra proprio perché ebrei. E Mincer
è cresciuto a Varsavia:
R. – Per me tornare, in maniera non propria ma soltanto
sul set, in quella città significava rivivere i racconti dei miei familiari. Purtroppo,
di quelli che sono rimasti durante la guerra a Leopoli non è sopravvissuto nessuno.
Leit-motiv della mia vita è questo ricordo di mia madre che quando si veniva a scoprire
che qualcuno era sopravvissuto, che si era salvato, diceva sempre: “Perché non è capitato
mai ai miei?”. Mio padre è rimasto solo di una famiglia di centinaia di persone. Mia
madre è riuscita a scappare con suo padre e suo fratello in Russia, mentre mia zia
e mia nonna sono riuscite a passare dalla parte fuori dal ghetto, fino praticamente
a pochi giorni dall’arrivo dei russi. Ma poi c’è stata una spia che le ha denunciate
e sono morte. Pure il mio cuginetto di un anno…
D. – La storia del ghetto di
Leopoli ai più è sconosciuta rispetto, per esempio, a quella del ghetto di Varsavia…
R.
– Era la terza città per grandezza ed importanza della Polonia di prima della guerra,
con una grandissima fiera, quella che si chiamava la “fiera dell’Est”. Una città di
tradizione secolare, una gran bella città. Per quelli che ci abitavano, il legame
era profondo: i miei genitori ne hanno conservato anche il dialetto, che è particolarissimo.
Nel film è stato ricostruito in maniera molto precisa, non è il polacco che si parla
adesso in Polonia. Oltre a questo, a Leopoli si parlava ucraino, c’erano tantissimi
ucraini. C’era la tradizione germanica, perché per oltre cento anni la città era stata
la capitale della parte polacca dell’Impero asburgico. Era una città piena di minoranze,
di lingue, di colori: una città rivolta verso la tradizione mediterranea, in qualche
modo, perché c’erano tanti greci, c’erano gli armeni, tantissimi rom… E quando poi
è arrivata la guerra, alcune minoranze sono state a favore dell’occupazione nazista,
altre no. Da una parte di ucraini, che prima erano stati vittime delle politiche di
Stalin, è paradossale pensarlo, ma l’arrivo dei tedeschi fu considerato una liberazione.
Nel film, questo atteggiamento è descritto benissimo. E dunque, il potenziale nemico
non era soltanto il soldato nazista: poteva essere un poliziotto ucraino o un vicino
di casa polacco che aveva magari paura… Quell’epoca è stata, da una parte, una fonte
di nefandezze, dall’altra espressione di comportamenti magnifici di esseri umani.
Spesso e volentieri, e ne abbiamo testimonianze, di ladri, di persone che in condizioni
normali sarebbero finite in prigione, durante la guerra si è scoperta la profonda
umanità e la sensibilità nei riguardi di un altro essere umano. E proprio così è successo
con Leopold Socha che, oltre ad essere un operaio nelle fognature di Leopoli, era
un ladruncolo. Quando poi è stato chiamato dal destino, perché nelle fogne di Leopoli
si è imbattuto in un gruppo di persone, ha deciso di aiutarle.