2013-01-25 10:47:29

Giornata della memoria. Roberto Piperno: "Salvo grazie all'accoglienza delle Suore Bethlemite"


Scampato al rastrellamento nel ghetto ebraico di Roma del 16 ottobre 1943, Roberto Piperno trovò un accoglienza premurosa tra le mura del convento delle suore Bethlemite di piazza Sabazio a Roma fino alla liberazione. In occasione della Giornata della memoria che ricorre questa domenica, Paolo Ondarza ha raccolto la sua testimonianza:RealAudioMP3

R. – Mio padre aveva capito che la situazione era molto difficile, quindi ce ne andammo da casa: andammo a casa di suoi amici. Ad un certo punto, visto che la situazione non sembrava sicura, si cercò un’altra soluzione. Ci spostammo: mia madre, mia sorella, mia nonna materna e quella paterna ed io, che ero un bambino di cinque anni, ci spostammo in un monastero che non era lontano da dove abitavano questi amici; a casa loro, invece, rimasero mio padre e mio nonno. Io passai sei mesi in questo monastero delle suore Bethlemite di piazza Sabazio. Naturalmente, noi non eravamo neanche dichiarati come ebrei: soltanto la madre superiora era a conoscenza di questa nostra identità ebraica. Per fortuna, questo amico di mio padre riuscì a procurarci carte di identità false, per cui io non mi chiamavo più Roberto Piperno, ma Roberto Pistolesi ed ero un napoletano venuto a Roma con la famiglia …

D. – Cosa significava per voi essere costretti, da un lato, a rinunciare al vostro nome e quindi alla vostra identità, ma all’interno del convento essere comunque accolti e protetti?

R. – Dopo tanti anni il ricordo delle suore è dolce: erano così gentili con noi, specialmente con me. Dovetti imparare le preghiere cattoliche, andavo in chiesa tutte le domeniche con mia madre e le mie nonne, dovevamo farci vedere come se fossimo cattolici. Quindi, c’era uno sdoppiamento della personalità. Però, questo non ci pesava perché le suore con noi si comportavano in maniera splendida … Ce n’era una, in particolare, suor Rita – adesso è morta – che portava me e mia sorella, più grande di me di tre anni, nel giardinetto del convento …

D. – Ci furono mai dei controlli nel convento?

R. – Per fortuna, non ci fu mai nessun controllo effettivo. So tra l’altro che le suore, Bethlemite avevano ospitato anche altri ebrei in altri luoghi del monastero, ma questo io l’ho scoperto soltanto molto dopo. Le suore ci avevano permesso di sopravvivere e di essere trattati in maniera umana. Loro avevano anche un istituto scolastico di scuola elementare: per qualche giorno, mia sorella ed io andammo là; poi, siccome avrebbe potuto essere pericoloso perché avremmo potuto essere identificati, mia madre non ci permise più di andare a scuola.

D. – Lei ricorda l’umanità e l’affetto di suor Rita, in particolare, che addirittura le consentì di uscire fuori, un giorno: fuori dal convento …

R. – Esatto. Sì, fu un episodio per me indimenticabile, perché venne da mia madre e le disse: “Senta, io devo andare a fare degli acquisti: Roberto può venire con me, così fa due passi?”. E così uscii: me lo ricorderò sempre, perché è stata l’unica volta che sono uscito.

D. – In quegli anni di paura, pure in una condizione comunque di nascondimento, questi singoli episodi le consentivano comunque di ricevere calore umano …

R. - … sì, sì, da tutte le suore!

D. – Sorrisi e calore umano di cui un bambino, in particolare, ha bisogno …

R. - … certo, a cinque anni … a cinque anni … tanto più dal momento che tua madre ti dice continuamente: ricordati che tu non ti chiami Roberto Piperno ma Roberto Pistolesi, ricordati che devi stare zitto, ricordati che non devi parlare con nessuno … Sono cose che poi lasciano una traccia per tutto il resto della tua esistenza!

D. – Suo padre e suo nonno, poi, furono trasferiti a San Giovanni …

R. – Andammo tutti, anche noi: ci trasferimmo tutti a San Giovanni, perché mio padre voleva in qualche modo ricostituire la famiglia, e sembrava che a San Giovanni avremmo potuto farlo. Arrivammo là, ma proprio nel giorno in cui arrivammo, la notte precedente i nazisti erano entrati in San Paolo e avevano portato via tanta gente, specialmente politici che si trovavano là. E quindi, il giorno dopo per timore tornammo tutti indietro: noi tornammo dalle Suore Bethlemite e mio padre e mio nonno tornarono dai loro amici.

D. – La sua condizione di sopravvissuto le permette di raccontare, di tramandare la memoria di quanto accaduto, ma anche – nello specifico – di raccontare che il calore umano ha continuato ad esserci in quegli anni, nonostante tutto …

R. – Esatto. L’esperienza con queste suore ha significato proprio questo: la loro l’umanità contro le persecuzioni naziste.







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