A Davos il premier britannico Cameron dice no all'Euro
Disoccupazione e crescita economica al centro della seconda giornata di lavori a Davos.
Ieri nella cittadina svizzera è giunto il premier britannico Cameron che ha ribadito
il suo no all’euro ma senza voltare le spalle all’Europa. Spinge l’acceleratore sulle
riforme strutturali invece il cancelliere tedesco Merkel, preoccupata dalla politica
di svalutazione delle monete nazionali da parte di Giappone e Stati Uniti. Il servizio
di Giovanni Del Re:
Guai a costringere
gli Stati ad un’Europa sempre più centralizzata: Londra non potrebbe accettarlo. Arrivato
a Davos il giorno dopo il suo discorso sull’Europa, il premier britannico David Cameron
ha voluto rincarare la dose. Non entreremo mai nell’Euro, ha ribadito, e tuttavia
ha precisato: non si tratta di voltare le spalle all’Ue ma di avere un’Europa più
competitiva, e invece stiamo sempre più perdendo terreno. Cameron ha incontrato vari
leader, a Davos, tra cui innanzitutto il cancelliere tedesco Angela Merkel, che invece
ha rilanciato le sue convinzioni: turnover alla crescita e consolidare le finanze
pubbliche – ha detto Merkel – sono due facce della stessa medaglia per riconquistare
la fiducia; ci vuole pazienza per vedere i risultati, ha ammonito il cancelliere tedesco:
un lasso di tempo di due, tre, quattro anni. Per la leader tedesca, la competitività
è il tema centrale del nostro futuro; urgono riforme in Europa. Ieri però è aleggiato
anche lo spettro della guerra delle valute, con la svalutazione dello yen che sta
tentando il Giappone.
Ma quali sarebbero le conseguenze di un’uscita di Londra
dall’Ue? Salvatore Sabatino lo ha chiesto all’economista Giovanni Marseguerra:
R. - Le conseguenze
di un’uscita di Londra dall’Unione Europea sono difficili da valutare con precisione.
Esistono dei precedenti storici diversi. Certamente, dietro la decisione di Cameron
c’è la complessa partita della revisione dei Trattati a livello comunitario. È opportuno
che questo momento fondamentale per il futuro dell’Europa sia vissuto da tutti i partecipanti
come un momento di maggiore solidarietà, coesione e partecipazione. Il rischio che
ciascuno guardi soltanto ai propri interessi è un rischio concreto, ed è quindi necessario
che questo venga ridotto al minimo con comportamenti - appunto - solidali.
D.
- Germania e Francia hanno reagito molto duramente dicendo che l’Europa non può essere
decisa "à la carte". I rapporti tra Londra, Berlino e Parigi, secondo lei, potrebbero
peggiorare davvero in seguito a questa vicenda?
R. - Se Londra pensa di subordinare
la sua accettazione della revisione dei Trattati - che sono necessari per salvare
l’Eurozona, e crede di subordinare questa concessione a una maggiore concessione di
poteri alla Gran Bretagna - credo rischi di scardinare la costruzione europea, quindi
di non andare nella direzione, che lo stesso Cameron peraltro auspica, di un’Europa
più forte.
D. - Non bisogna dimenticare che la "City" è la piazza più importante
dal punto di vista finanziario che abbiamo in Europa…
R. - Certamente. Infatti,
abbiamo avuto una chiara indicazione di questo. Se lei pensa soltanto all’opposizione
che ha fatto Londra relativamente all’accordo sulla vigilanza bancaria e ad una serie
di norme di riforma del sistema finanziario... D’altro canto, Londra è un partner
dell’Europa formidabile: se noi consideriamo l’Eurozona, nel 2011 in termini di interscambio,
l’Eurozona nel commercio con il Regno Unito ha 213 miliardi di euro di export e 166
di import. Quindi, questo dice che in termini di commercio internazionale c’è una
fortissima integrazione.
D. - Secondo le previsioni da qui al 2015, data oltre
la quale si dovrebbe tenere questo referendum, l’Europa dovrebbe essersi lasciata
alle spalle la crisi… In tal caso, secondo lei, Londra potrebbe fare un passo indietro?
R.
- Il discorso di Cameron è subordinato a una serie di condizioni: prima di tutto i
conservatori dovrebbero vincere le elezioni del 2015 e poi successivamente fare il
referendum. Quindi, è subordinato a molti se. Io credo che dietro, come ho già accennato
in precedenza, c’è la partita della revisione dei Trattati in cui temo che la Gran
Bretagna voglia strappare delle concessioni. Credo, inoltre, che la crisi dovrebbe
invece consigliare un atteggiamento diverso: non tanto guardare ai propri interessi
quanto alla solidarietà comune.
D. - All’inizio, lei ha parlato di altri casi
che si sono verificati in passato, credo si riferisse alla Grecia, che ha più volte
minacciato di voler uscire dall’Europa… In quel caso, però, si tratterebbe di un Paese
appartenente all’Eurozona. Al di là del peso economico di un membro Ue, sarebbe più
destabilizzante l’uscita di Londra o di Atene?
R. - Certamente, il peso della
Gran Bretagna nell’Unione Europea è maggiore di quello della Grecia nell’Eurozona
per una serie di motivi che fanno riferimento a rapporti commerciali, scambi, tecnologia…
Dunque, certamente l’uscita di Londra non avrebbe conseguenze solamente economiche,
ma credo avrebbe anche conseguenze politiche in termini di tenute dell’area dell’Unione
Europea, perché credo che risveglierebbe i nazionalismi sopiti in parte, ma non del
tutto, che ci sono in ogni Stato. Anche noi, in Italia vediamo tante volte riemergere
un anti-europeismo che non ci appartiene, ma che spesso viene rinfocolato da affermazioni
come questa di Cameron.