Israele: al lavoro per formare un nuovo governo. Ago della bilancia il centrista Lapid
Israele. Il presidente Shimon Peres inizierà la settimana prossima il giro di consultazioni
per la formazione del governo, che quasi certamente sarà guidato – per la terza volta
– da Benjamin Netanyahu. Un’impresa ardua, quella di Netanyahu, visto che la Knesset
è spaccata a metà, con 60 seggi a testa per la destra e per il centro-sinistra. L’ago
della bilancia sarà Yair Lapid, vero trionfatore del voto, che con il suo partito
centrista, lo Yesh Atid, ha conquistato ben 19 seggi. Lapid mercoledì ha escluso la
formazione di una coalizione anti – Nethanyau. E intanto giunge l’appello della Casa
Bianca, affinchè riprendano i negoziati diretti tra israeliani e palestinesi, mentre
l’Anp, da parte sua, fa sapere che negozierà con qualsiasi esecutivo israeliano sarà
formato a patto, però, che rispetti la risoluzione dell'Onu che riconosce lo Stato
palestinese entro i confini precedenti al 1967. Salvatore Sabatino ha chiesto
di commentare il risultato elettorale a mons. William Hanna Shomali,
vescovo ausiliare del Patriarcato Latino di Gerusalemme:00:03:43:8
R.
– C’è un vero cambiamento nell’elettorato israeliano: si sta muovendo verso il centro.
I risultati di stamattina ci hanno sorpreso: 60 seggi per la sinistra e 60 per la
destra. Con la sinistra ci sono anche i partiti arabi. Questo rende più difficile
formare un governo e anche se Nethanyau ha avuto 31 seggi in Parlamento, nella Knesset,
avrà difficoltà a fare una larga coalizione con altri partiti, specialmente quelli
di centro-sinistra, perché deve essere pronto a cambiare qualcosa della sua politica.
Non può continuare come quando si coalizzava con partiti solo di destra. Ora ci aspettiamo
un vero cambiamento.
D. – Possiamo dire che è definitivamente messa da parte
la linea dura di Lieberman, a questo punto? R. – Senz’altro. Lieberman esce se
Yair Lapid entra al suo posto. Yair è meno fondamentalista, meno estremista, più moderato,
ed è per questo che i giovani lo hanno eletto: per le sue idee su come migliorare
l’economia, come obbligare gli ortodossi ad entrare nell’esercito, a fare il servizio
militare, come agevolare il processo di pace. Le idee, dunque, di Lapid saranno veramente
moderate, se entra nella coalizione. Sappiamo già che la prima telefonata che Nethanyau
ha fatto stamani è stata per lui; per fargli gli auguri ed invitarlo ad entrare con
lui in una larga coalizione. Questo è promettente.
R. – Quindi, questa vittoria
dei centristi, secondo lei, può aiutare concretamente a riprendere il processo di
pace, dopo che per anni abbiamo vissuto una vera e propria stasi?
R. – La spinta
al riavvio del processo di pace non giunge solo da parte dei vari componenti del governo
israeliano. Tutto dipende anche dalla pressione esercitata dagli Stati Uniti sul nuovo
esecutivo. Washington ha detto che non cambierà politica, che vuole la soluzione di
due Stati, e che gli insediamenti impediscono la soluzione di questi due Stati. Per
questo una pressione americana aiuterebbe tanto anche i partiti moderati in Israele.
D.
– Tra l’altro, Obama nel suo discorso, dopo il giuramento del secondo mandato, ha
detto: “E’ finita un’era di guerra e ci impegneremo per la pace in Africa e soprattutto
in Medio Oriente”. Questo è un segnale, ovviamente, importante per voi...
R.
– Per me sì. Molti, comunque, fanno pressione su Obama per dare una priorità al conflitto
israelo-arabo, perché questo conflitto continua a far perdere tante energie e anche
ad avvelenare l’atmosfera del Medio Oriente. Allora vuole – e penso sia sincero –
contribuire ad una pace in Terra Santa. C’è bisogno di una bella collaborazione fra
lui e il governo israeliano. Noi possiamo solo pregare per una bella intesa fra di
loro per il futuro della pace.
D. – Questo voto uscito dalle urne, com’è stato
commentato dai palestinesi? R. – Io ho sentito solo Saeb Erekat, grande negoziatore
dei palestinesi, che ha detto: “Questo è un affare interno agli israeliani; rispettiamo
la loro decisione e vogliamo continuare a lavorare per la pace, ma vogliamo che si
fermi la costruzione degli insediamenti, perché sono un vero ostacolo a riprendere
i negoziati”. E questa è la prima reazione venuta da una persona autorevole.