Israele oggi al voto. Favorito il partito del premier Netanyahu
Dopo una campagna elettorale incentrata sopratutto su temi sociali ed economici, oggi
Israele va al voto. Oltre 5 milioni e 600 mila gli aventi diritto, che già stanno
affollando i circa 10 mila seggi, che rimarranno aperti sino alle ore 22. Alcune migliaia
i candidati presenti in 34 partiti. A contendersi i 120 seggi della Knesset, solo
le liste che supereranno la soglia di sbarramento del 2%. Sentiamo Graziano Motta:
Una soglia che,
come nel passato, sarà superata certamente da una dozzina di liste, soprattutto da
quella del partito di centro-destra Likud, guidato dal premier uscente Benjamin Netanyahu,
data più che vincente da tutte le previsioni e alleata della destra oltranzista Israel
Beitenu, del russofono Avidgor Lieberman, dimessosi a dicembre da ministro degli Esteri
per problemi giudiziari: puntano ad ottenere più dei 42 seggi di cui insieme disponevano
nell’ultima legislatura, sostenendo che la scelta è tra un Israele debole e diviso
e uno forte e unito. Ma per governare avranno bisogno ancora del sostegno dei partiti
confessionali Shas e Torah Unita e forse di altre liste minori. Una di queste, Bait
Yehudi, focolare ebraico guidato dall’uomo in affari di Naftali Bennet, pupillo dei
coloni, potrebbe passare da tre a 15 seggi. In rimonta i laburisti. Punteranno sempre
su un elettorato stabile i partiti della minoranza araba, tentata però stavolta dall’astensione.
E,
sui possibili esiti di queste combattute elezioni legislative israeliane, Benedetta
Capelli ha intervistato Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle Relazioni
Internazionali all’Università di Firenze:
R. – La vittoria
di Netanyahu è scontata. Quello che non è scontato è che sarà una piena vittoria,
cioè che il Likud assieme alla lista di Israel Beitenu raggiungano e superino la somma
dei due partiti, al momento. Questo non è scontato. Inoltre, va visto come sarà il
sorpasso a destra di un nuovo partito che da anni è sulla scena, ma che ora è completamente
rinnovato, cioè Bait Yehudi, guidato da un uomo giovane, energico, di grande carisma
che è Naftali Bennet e che ha condotto una campagna elettorale molto aggressiva. In
questo momento, il partitino di Bennet ha tre seggi: se li moltiplicasse, sarebbe
la misura della sconfitta di Netanyahu.
D. – Secondo lei, Bennet sarà il successore
di Netanyahu e nello stesso tempo, con la sua battaglia per la questione dei territori
quanto consenso ha raccolto?
R. – Bennet è molto abile ed è molto intelligente.
In questo momento, lui sta cavalcando l’onda a spese della destra di Likud-Netanyahu.
Però, è anche capacissimo di spostarsi e al centro e successivamente di riprendersi
il Likud. Potrebbe domani essere il nuovo leader di Israele, con idee anche un pochino
diverse da quelle che dice di avere ora.
D. – Secondo lei, però, le idee che
invece sta proponendo in questa fase, non possono preoccupare una parte dell’opinione
pubblica, ma anche un po’ la comunità internazionale?
R. – Su questo non c’è
dubbio, perché Bennet in questo momento ha detto una cosa anche piuttosto grave, e
cioè che non c’è spazio per uno Stato palestinese dentro Israele. Però è anche vero
che nella storia della destra di Israele ci sono stati uomini che sono partiti con
dichiarazioni altrettanto dure e che poi hanno fatto cose diverse. Per certi versi,
l’eccezione è Netanyahu che, a parole, ha detto che avrebbe voluto riprendere il negoziato
di pace se Abu Mazen fosse stato credibile, poi nei fatti ha smantellato questa possibilità.
Bennet è giovane e spregiudicato: questo, paradossalmente, può essere domani un elemento
di rinnovamento.
D. – Quali sono, secondo lei, i temi più a cuore dell’opinione
pubblica israeliana? Lo Stato ebraico è sempre alle prese con una crisi economica
importante e poi c’è anche lo spettro dell’Iran…
R. – Ecco, di Iran in questa
campagna elettorale si è parlato molto meno di quanto non avesse fatto Netanyahu nei
mesi immediatamente precedenti. Che ci sia una crisi economica più o meno nascosta,
non ci sono dubbi. E' anche vero che lo sforzo di difesa di Israele costa una parte
di bilancio impressionante, come anche il sostegno dato agli insediamenti. Quindi,
questa crisi economica va affrontata: finora Netanyahu l’ha letteralmente messa sotto
il tappeto. L’opinione pubblica, inoltre, è preoccupata dal problema della sicurezza,
cioè della possibilità di avere uno Stato palestinese che non riesca in qualche modo
a controllare.
D. – In questo voto, secondo lei, c’entra – o c’entrerà – la
crisi che ci siamo lasciati alle spalle nella Striscia di Gaza?
R. – La Striscia
di Gaza è ormai praticamente tagliata fuori dal contesto israeliano, se non per quanto
riguarda la sicurezza, i razzi che piovono sul Sud di Israele e così via. Un avvio
del negoziato di pace dev’essere fatto con tutte e due le componenti: Hamas è al momento
apparentemente lontana, Abu Mazen è al momento terribilmente stanco di tentativi andati
a vuoto. Il nuovo governo, che sarà sicuramente a guida Netanyahu, potrebbe presentare
tesi ancora più oltranziste, per di più durante il periodo della seconda presidenza
Obama. Questo non smuoverà gli americani: gli americani non sembrano avere alcuna
intenzione di fare un serio sforzo di negoziato, perché sanno che non avrebbe risultati
a breve. Però, un governo Netanyahu duro che inglobi eventualmente anche ministri
di Naftali Bennet, sarebbe oggetto di una politica abbastanza rigida da parte dell’Europa
e di altri Paesi, che intendono spiegare a Israele che va ripreso un percorso di un
vero negoziato.
D. – Come potrà uscire la sinistra dal voto di domani?
R.
– La sinistra in Israele si misurerà guardando letteralmente i seggi di "Meretz",
che è l’unico partito di sinistra rimasto. In questo momento ha tre seggi, se ne avrà
qualcuno in più la sinistra si riprenderà; se non li avrà, rimarrà allo stato attuale,
cioè molto piccolo. I laburisti sono stati più volti definiti dalla leader Shelly
Yacimovich un partito di centro: i laburisti non sono più considerabili “sinistra”,
se non nel senso più generale del termine, e comunque non ideologico.