2013-01-21 07:22:27

Attacco francese in Mali a Gao e Timbuctu


L'intervento africano in preparazione contro i gruppi fondamentalisti che occupano il nord del Mali necessita di un finanziamento pari a 500 milioni di dollari. Lo sottolinea la Comunità economica dei Paesi dell'Africa occidentale (Ecowas). E l'Ue decide di partecipare con un finanziamento fino a 50 milioni di euro. Intanto l'aeronautica militare francese ha attaccato obiettivi nelle regioni di Gao e di Timbuctu e spiega l’obiettivo della piena completa riconquista del Mali senza lasciare alcuna sacca di resistenza''. Il servizio di Giulio Albanese:RealAudioMP3

Mentre almeno due colonne di soldati francesi continuano ad avanzare via terra verso il nord del Mali e l’aviazione di Parigi effettua bombardamenti a tappeto attorno alle città di Gao e di Timbuctù, il presidente maliano Dioncounda Traoré è più che fiducioso: “vinceremo insieme, per la civiltà e per la democrazia”, ha detto ieri rivolgendosi alla popolazione che vive in uno stato di angoscia. Dello stesso parere è il ministero della difesa francese che a proposito della situazione sul terreno ha comunque ammesso che la città di Diabaly, situata a 400 chilometri da Bamako, “non e’ ancora stata riconquistata dalle forze regolari maliane” precisando però che nelle prossime ore potrebbero esservi notizie positive su questo fronte. Anche ieri, dopo gli appelli di Human Rights Watch, esponenti delle comunità arabe e dei tuareg hanno chiesto ai “liberatori” di rispettare i civili. In questi giorni, infatti, ci sono stati troppi saccheggi e troppe violenze anche da parte delle truppe regolari. Intanto , sempre ieri, altri Paesi hanno risposto alle richieste di aiuto logistico e finanziario dell’Ecowas/Cedeao (Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale) per il dispiegamento della Missione internazionale di sostegno al Mali (Misma). La Germania, che ha già annunciato l’invio di due aerei da trasporto, ha promesso un aiuto finanziario supplementare entro fine mese; la Russia ha proposto alla Francia di trasportare soldati e attrezzature. Qualcuno l’ha già battezzata: una nuova guerra mondiale africana.

Il trascinarsi a lungo della guerra rappresenta un rischio per il futuro della chiesa nel Paese, è l’allarme lanciato da mons. Augustin Traoré, vescovo di Ségou. Sul ruolo dell’Europa nel conflitto in corso, Eugenio Bonanata ha intervistato il prof. Luigi Bonanate, docente di Relazioni internazionali all’università di Torino:RealAudioMP3

R. - Questo in un certo senso corrisponde all’identità dell’Unione Europea, nel senso che l’Unione Europea nasce e ha sempre voluto essere un’istituzione di pace – lo ha confermato anche il Premio Nobel – ma introiettata, cioè ha sempre curato la pace al suo interno. Non si rende conto, però, che una volta costruito questo tipo di pace bisogna guardarsi intorno: non esiste nessuno Stato, nessuna confederazione, e nessuna federazione che possa guardare solo al suo interno.

D. – Secondo lei, in che modo l’Europa dovrebbe o potrebbe affrontare la minaccia dell’integralismo islamico anche nel futuro?

R. – In primo luogo, certamente non con le armi. All’Unione Europea si chiede proprio di dimostrare quella sua natura, cioè una presenza civile consapevole, colta, nel senso di sapere come è fatto il mondo. Questi Stati che ci preoccupano tanto adesso sono tutti o quasi tutti ex colonie europee. I problemi del Mali, che sono i problemi della Mauritania, del vicino Niger, del Sudan subito dopo, sopra dell’Algeria, sotto della Nigeria, sono problemi che uno ad uno conoscevamo tutti. Possibile che nessuno abbia mai saputo fare la somma di tutto e dire: qui c’è un grande problema?

D. – La questione interessa anche l’Italia che ha deciso di appoggiare la Francia, ma con molte polemiche. Una necessità o una scelta?

R. – È chiaro che quando un Paese che ormai fa parte dell’Unione Europea così stabilmente, come anche l’Italia, si trova a decidere da sola a titolo personale, è chiaro che le polemiche interne sono poi assolutamente inevitabili e vanno messe in conto. Il punto è che l’Italia, semmai doveva, dovrebbe e dovrà, farsi parte dirigente nell’insistere sia presso l’Unione, sia nei confronti degli Stati Uniti – ma vorrei dire anche nei confronti della comunità internazionale – su fatto che non c’è nulla che non riguardi tutti al mondo. Siamo probabilmente usciti dall’età delle due grandi guerre mondiali, ma stiamo entrando in una fase di ristrutturazione della vita internazionale nella quali i problemi sono il benessere, la salute, la liberazione dalla fame, la scolarizzazione, la parità dei sessi. Questi sono i grandi problemi che ci aspettano e che possono produrre delle crisi nel mondo futuro. Bene: l’Unione, la stessa Italia – che sono state anche le culle dei diritti – devono impegnarsi in questo. Perché non si sono mai mosse nell’intervenire se non quando succedono fatti d’arme? Noi siamo abituati a occuparci dei problemi quando scoppia una bomba, che sia metaforica o materiale. Questo è il modo sbagliato di affrontare la realtà. Noi, invece, dobbiamo essere sempre pronti e consapevoli di quello che si sta muovendo nel mondo.

D. – Il dibattito è aperto in diversi Paesi europei e anche negli Stati Uniti, che hanno bene in mente la situazione afghana…

R. – Stanno appena scrollandosi di dosso la polvere dell’Iraq, dell’Afghanistan. Obama non mi sembra in questo momento sufficientemente forte per imporre una decisione militare. Naturalmente, non si può mai dire, però non credo che gli Stati Uniti interverranno in modo massiccio. Suppongo faranno quella solita cosa – che del resto hanno fatto sovente – che è quella dei consiglieri militari, degli esperti, della concessione di un po’ di fondi, di mettere al servizio le fonti di intelligence di cui dispongono. Ma, in questo momento, non credo che Obama si senta di fare di più.







All the contents on this site are copyrighted ©.