L'intervento africano in preparazione contro i gruppi fondamentalisti che occupano
il nord del Mali necessita di un finanziamento pari a 500 milioni di dollari. Lo sottolinea
la Comunità economica dei Paesi dell'Africa occidentale (Ecowas). E l'Ue decide di
partecipare con un finanziamento fino a 50 milioni di euro. Intanto l'aeronautica
militare francese ha attaccato obiettivi nelle regioni di Gao e di Timbuctu e spiega
l’obiettivo della piena completa riconquista del Mali senza lasciare alcuna sacca
di resistenza''. Il servizio di Giulio Albanese:
Mentre almeno
due colonne di soldati francesi continuano ad avanzare via terra verso il nord del
Mali e l’aviazione di Parigi effettua bombardamenti a tappeto attorno alle città di
Gao e di Timbuctù, il presidente maliano Dioncounda Traoré è più che fiducioso: “vinceremo
insieme, per la civiltà e per la democrazia”, ha detto ieri rivolgendosi alla popolazione
che vive in uno stato di angoscia. Dello stesso parere è il ministero della difesa
francese che a proposito della situazione sul terreno ha comunque ammesso che la città
di Diabaly, situata a 400 chilometri da Bamako, “non e’ ancora stata riconquistata
dalle forze regolari maliane” precisando però che nelle prossime ore potrebbero esservi
notizie positive su questo fronte. Anche ieri, dopo gli appelli di Human Rights Watch,
esponenti delle comunità arabe e dei tuareg hanno chiesto ai “liberatori” di rispettare
i civili. In questi giorni, infatti, ci sono stati troppi saccheggi e troppe violenze
anche da parte delle truppe regolari. Intanto , sempre ieri, altri Paesi hanno risposto
alle richieste di aiuto logistico e finanziario dell’Ecowas/Cedeao (Comunità Economica
degli Stati dell’Africa Occidentale) per il dispiegamento della Missione internazionale
di sostegno al Mali (Misma). La Germania, che ha già annunciato l’invio di due aerei
da trasporto, ha promesso un aiuto finanziario supplementare entro fine mese; la Russia
ha proposto alla Francia di trasportare soldati e attrezzature. Qualcuno l’ha già
battezzata: una nuova guerra mondiale africana.
Il trascinarsi a lungo della
guerra rappresenta un rischio per il futuro della chiesa nel Paese, è l’allarme lanciato
da mons. Augustin Traoré, vescovo di Ségou. Sul ruolo dell’Europa nel conflitto in
corso, Eugenio Bonanata ha intervistato il prof. Luigi Bonanate, docente
di Relazioni internazionali all’università di Torino:
R. - Questo
in un certo senso corrisponde all’identità dell’Unione Europea, nel senso che l’Unione
Europea nasce e ha sempre voluto essere un’istituzione di pace – lo ha confermato
anche il Premio Nobel – ma introiettata, cioè ha sempre curato la pace al suo interno.
Non si rende conto, però, che una volta costruito questo tipo di pace bisogna guardarsi
intorno: non esiste nessuno Stato, nessuna confederazione, e nessuna federazione che
possa guardare solo al suo interno.
D. – Secondo lei, in che modo l’Europa
dovrebbe o potrebbe affrontare la minaccia dell’integralismo islamico anche nel futuro?
R.
– In primo luogo, certamente non con le armi. All’Unione Europea si chiede proprio
di dimostrare quella sua natura, cioè una presenza civile consapevole, colta, nel
senso di sapere come è fatto il mondo. Questi Stati che ci preoccupano tanto adesso
sono tutti o quasi tutti ex colonie europee. I problemi del Mali, che sono i problemi
della Mauritania, del vicino Niger, del Sudan subito dopo, sopra dell’Algeria, sotto
della Nigeria, sono problemi che uno ad uno conoscevamo tutti. Possibile che nessuno
abbia mai saputo fare la somma di tutto e dire: qui c’è un grande problema?
D.
– La questione interessa anche l’Italia che ha deciso di appoggiare la Francia, ma
con molte polemiche. Una necessità o una scelta?
R. – È chiaro che quando un
Paese che ormai fa parte dell’Unione Europea così stabilmente, come anche l’Italia,
si trova a decidere da sola a titolo personale, è chiaro che le polemiche interne
sono poi assolutamente inevitabili e vanno messe in conto. Il punto è che l’Italia,
semmai doveva, dovrebbe e dovrà, farsi parte dirigente nell’insistere sia presso l’Unione,
sia nei confronti degli Stati Uniti – ma vorrei dire anche nei confronti della comunità
internazionale – su fatto che non c’è nulla che non riguardi tutti al mondo. Siamo
probabilmente usciti dall’età delle due grandi guerre mondiali, ma stiamo entrando
in una fase di ristrutturazione della vita internazionale nella quali i problemi sono
il benessere, la salute, la liberazione dalla fame, la scolarizzazione, la parità
dei sessi. Questi sono i grandi problemi che ci aspettano e che possono produrre delle
crisi nel mondo futuro. Bene: l’Unione, la stessa Italia – che sono state anche le
culle dei diritti – devono impegnarsi in questo. Perché non si sono mai mosse nell’intervenire
se non quando succedono fatti d’arme? Noi siamo abituati a occuparci dei problemi
quando scoppia una bomba, che sia metaforica o materiale. Questo è il modo sbagliato
di affrontare la realtà. Noi, invece, dobbiamo essere sempre pronti e consapevoli
di quello che si sta muovendo nel mondo.
D. – Il dibattito è aperto in diversi
Paesi europei e anche negli Stati Uniti, che hanno bene in mente la situazione afghana…
R.
– Stanno appena scrollandosi di dosso la polvere dell’Iraq, dell’Afghanistan. Obama
non mi sembra in questo momento sufficientemente forte per imporre una decisione militare.
Naturalmente, non si può mai dire, però non credo che gli Stati Uniti interverranno
in modo massiccio. Suppongo faranno quella solita cosa – che del resto hanno fatto
sovente – che è quella dei consiglieri militari, degli esperti, della concessione
di un po’ di fondi, di mettere al servizio le fonti di intelligence di cui dispongono.
Ma, in questo momento, non credo che Obama si senta di fare di più.