2013-01-20 15:47:02

Mali: leader africani chiedono appoggi a Onu. Soldati francesi verso nord


“Vinceremo la guerra contro l’internazionale islamica”. Così il presidente ad interim maliano, Dioncounda Traoré, ha parlato alla vigilia della festa delle forze armate, impegnate accanto a quelle internazionali. Intanto, i militari francesi avanzano verso il nord controllato dai ribelli fino alle città di Niono e Sevaré. I leader africani chiedono all’Onu di appoggiare la forza militare africana che sarà composta da tremila uomini. Il trascinarsi a lungo della guerra rappresenta un rischio per il futuro della chiesa nel Paese, è l’allarme lanciato da mons. Augustin Traoré, vescovo di Ségou. Sul ruolo dell’Europa nel conflitto in corso, Eugenio Bonanata ha intervistato il prof. Luigi Bonanate, docente di Relazioni internazionali all’università di Torino:RealAudioMP3

R. - Questo in un certo senso corrisponde all’identità dell’Unione Europea, nel senso che l’Unione Europea nasce e ha sempre voluto essere un’istituzione di pace – lo ha confermato anche il Premio Nobel – ma introiettata, cioè ha sempre curato la pace al suo interno. Non si rende conto, però, che una volta costruito questo tipo di pace bisogna guardarsi intorno: non esiste nessuno Stato, nessuna confederazione, e nessuna federazione che possa guardare solo al suo interno.

D. – Secondo lei, in che modo l’Europa dovrebbe o potrebbe affrontare la minaccia dell’integralismo islamico anche nel futuro?

R. – In primo luogo, certamente non con le armi. All’Unione Europea si chiede proprio di dimostrare quella sua natura, cioè una presenza civile consapevole, colta, nel senso di sapere come è fatto il mondo. Questi Stati che ci preoccupano tanto adesso sono tutti o quasi tutti ex colonie europee. I problemi del Mali, che sono i problemi della Mauritania, del vicino Niger, del Sudan subito dopo, sopra dell’Algeria, sotto della Nigeria, sono problemi che uno ad uno conoscevamo tutti. Possibile che nessuno abbia mai saputo fare la somma di tutto e dire: qui c’è un grande problema?

D. – La questione interessa anche l’Italia che ha deciso di appoggiare la Francia, ma con molte polemiche. Una necessità o una scelta?

R. – È chiaro che quando un Paese che ormai fa parte dell’Unione Europea così stabilmente, come anche l’Italia, si trova a decidere da sola a titolo personale, è chiaro che le polemiche interne sono poi assolutamente inevitabili e vanno messe in conto. Il punto è che l’Italia, semmai doveva, dovrebbe e dovrà, farsi parte dirigente nell’insistere sia presso l’Unione, sia nei confronti degli Stati Uniti – ma vorrei dire anche nei confronti della comunità internazionale – su fatto che non c’è nulla che non riguardi tutti al mondo. Siamo probabilmente usciti dall’età delle due grandi guerre mondiali, ma stiamo entrando in una fase di ristrutturazione della vita internazionale nella quali i problemi sono il benessere, la salute, la liberazione dalla fame, la scolarizzazione, la parità dei sessi. Questi sono i grandi problemi che ci aspettano e che possono produrre delle crisi nel mondo futuro. Bene: l’Unione, la stessa Italia – che sono state anche le culle dei diritti – devono impegnarsi in questo. Perché non si sono mai mosse nell’intervenire se non quando succedono fatti d’arme? Noi siamo abituati a occuparci dei problemi quando scoppia una bomba, che sia metaforica o materiale. Questo è il modo sbagliato di affrontare la realtà. Noi, invece, dobbiamo essere sempre pronti e consapevoli di quello che si sta muovendo nel mondo.

D. – Il dibattito è aperto in diversi Paesi europei e anche negli Stati Uniti, che hanno bene in mente la situazione afghana…

R. – Stanno appena scrollandosi di dosso la polvere dell’Iraq, dell’Afghanistan. Obama non mi sembra in questo momento sufficientemente forte per imporre una decisione militare. Naturalmente, non si può mai dire, però non credo che gli Stati Uniti interverranno in modo massiccio. Suppongo faranno quella solita cosa – che del resto hanno fatto sovente – che è quella dei consiglieri militari, degli esperti, della concessione di un po’ di fondi, di mettere al servizio le fonti di intelligence di cui dispongono. Ma, in questo momento, non credo che Obama si senta di fare di più.







All the contents on this site are copyrighted ©.