Algeria: ancora sotto assedio l'impianto di In Amenas
La Francia ponga fine alla guerra in Mali. Questa la richiesta dei miliziani islamici
in cambio del rilascio degli ostaggi trattenuti nell’impianto di gas di In Amenas,
in Algeria. Da parte loro gli Stati Uniti respingono la richiesta dei terroristi di
scambiare due ostaggi americani con due terroristi detenuti negli Usa. Intanto ha
suscitato il disappunto dei governi occidentali il sanguinoso blitz condotto giovedì
dalle forze algerine contro un convoglio di jihadisti in fuga dall'impianto. Paolo
Ondarza:
Un operazione
che ha permesso di salvare 100 dei 132 ostaggi catturati dai jihadisti ed evitare
il disastro, secondo Algeri; un intervento non concordato secondo Stati Uniti, Gran
Bretagna, Francia, Norvegia e Giappone. Suscita polemiche l’attacco di ieri delle
forze di sicurezza algerine contro un convoglio di jihadisti in fuga dall'impianto
per il trattamento del gas di In Amenasgestito da Bp, Sonatrach e Statoil. Nel blitz
sarebbero morti trenta ostaggi e 18 rapitori. Decine i dispersi. Secondo testimoni
l'esercito algerino avrebbe aperto il fuoco su jeep all’interno delle quali si trovavano
ostaggi durante un trasferimento. In queste ore le forze algerine circondano il gigantesco
complesso dove resta asserragliato un gruppo di terroristi nelle cui mani potrebbero
essere ancora almeno trenta ostaggi stranieri. In 650, per lo più algerini, secondo
l’agenzia Aps, sono già tornati in libertà. Il governo assicura di voler cercare
una soluzione pacifica, mentre i miliziani minacciano di colpire altre installazioni
straniere e, attraverso il loro leader, Mokhtar Belmokhtar, un veterano dell’Afghanistan,
dettano le condizioni: la fine delle operazioni francesi in Mali e, in cambio di due
ostaggi americani, il rilascio di due superterroristi attualmente in carcere negli
Usa; tra questi c'è Omar Abdel Rahman, ritenuto l’ispiratore dell'attacco al World
Trade Center del 1993. “Non negoziamo con i terroristi” risponde la Casa Bianca che
segue con attenzione l’evolversi dei fatti.
L’attacco terroristico in Algeria
è in stretta relazione con quanto accade in Mali, lo Stato dell’Africa occidentale
dove sono intervenuti i militari francesi in seguito all’occupazione del Nord da parte
di forze islamiste e terroristiche. Nell’intervista di Fausta Speranza, il
prof. Angelo Turco, della Università Iulm di Milano:
R. – C’è una
connessione molto stretta tra quello che è successo in Algeria e la guerra nel Nord
del Mali, dove la componente qaedista è molto forte tra le forze terroristiche. La
connessione è data dal fatto che le forze di Al Qaeda nel Nord del Mali erano presenti
massicciamente: una componente robusta e certamente strutturata del terrorismo internazionale
presente nelle aree desertiche maliane. L’intervento francese, che conosciamo, ha
determinato un capovolgimento importante dei rapporti di forza in quella zona e prelude,
peraltro, ad un intervento internazionale più consistente. L’attacco in Algeria, quindi,
è stato una risposta di Al Qaeda all’attacco francese, alla messa in moto di tutta
la macchina di intervento militare in Mali. Una quota consistente dei quaedisti che
operano in Mali è di provenienza algerina: quello è – per così dire – il loro terreno
quanto a teatro di offesa e di combattimento.
D. – Cosa può significare per
il Paese che si giochi proprio in questi giorni e in Algeria questa battaglia?
R.
– Il teatro algerino è un teatro nel quale si è svolta una lunga, sanguinosa, dolorosa
battaglia anti-terroristica in cui l’Occidente, per il vero, c’è entrato molto poco,
ed è stata combattuta dagli algerini: dalla costellazione dei nuovi poteri algerini,
che è una costellazione molto complessa, un potere militare, un potere che poi gradualmente
è divenuto sempre più di matrice civile evolvendo verso modelli di rappresentanza
democratica. E’ una rappresentanza democratica evidentemente non compiuta ma certamente
significativa … Quindi, qui non si tratta di uno scontro di civiltà tra Occidente
e terrorismo: qui c’è un complesso di forze e di Paesi che è colpito dal terrorismo,
che minaccia di essere destabilizzato dal terrorismo, e reagisce. Il fatto che il
terrorismo abbia colpito in Algeria ha delle cause storiche.
D. – Che dire
della presenza di Al Qaeda in altri Paesi africani?
R. – Intanto, incominciamo
a dire che Al Qaeda c’è. Chi si era illuso che ci fosse un’eclisse dell’organizzazione
farebbe bene a ritornare sui propri passi e acquisire l’idea che Al Qaeda non è un’organizzazione
terroristica di tipo tradizionale, gerarchica, compatta ma è piuttosto una costellazione
di gruppi che hanno una grande autonomia, sia organizzativa, sia finanziaria, sia
di armamenti, uomini, tecniche e possibilità di combattimento locale. E’ una grande
costellazione che si può muovere con grande autonomia.