In Algeria drammatico blitz dell’esercito algerino: morti almeno
35 ostaggi
Si sarebbe conclusa, secondo la Radio di stato, l’operazione militare delle forze
algerine contro l’impianto petrolifero di “In Amenas”, nel deserto dell’Algeria. Drammatico
il bilancio del blitz in cui sarebbero rimasti uccisi 35 ostaggi stranieri e 15 rapitori
legati ad Al Qaida, tra cui il loro capo. Servizio di Francesca Sabatinelli:
In Algeria è
stata strage. Di rapiti e di rapitori. Gli ostaggi stranieri caduti nelle mani di
un commando jihadista nel Sahara in un impianto al confine con la Libia, sono stati
vittime, come alcuni dei loro sequestratori, di una operazione delle forze algerine
che hanno bombardato il sito in pieno deserto. La situazione è confusa, l’esercito
avrebbe preso il controllo del campo petrolifero gestito dalla britannica Bp, da una
società algerina e da una norvegese. In mattinata sembra che i rapitori si fossero
detti disposti a negoziare purché l’esercito si allontanasse dall’area. Gli ostaggi
superstiti sarebbero sette. Due americani, tre belgi, un giapponese e un britannico.
Quattro ostaggi sarebbero invece stati liberati dall’esercito: un britannico, un irlandese,
un francese e un keniano, più 600 lavoratori algerini. Il presidente francese Hollande
ha parlato di piega drammatica della crisi, il premier britannico Cameron, che ha
convocato una riunione d’emergenza, ha lamentato di non essere stato informato dell’operazione,
mentre chiarimenti al governo algerino sono stati chiesti dalla Casa Bianca che, ha
avvertito, continuerà a monitorare la situazione da vicino. I rapitori chiedevano
la liberazione di diversi prigionieri islamici detenuti sia in Algeria che in altri
Paesi.
Perché dunque, nonostante la prevedibile reazione internazionale, il
governo algerino ha deciso di condurre questa sanguinosa operazione? Francesca
Sabatinelli lo ha chiesto a Luciano Ardesi, esperto di Nord Africa:
Secondo gli
esperti, la presa d’ostaggi in Algeria sarebbe una rappresaglia del terrorismo islamico
per l’intervento militare francese in Mali. Per un’analisi della situazione Massimiliano
Menichetti ha intervistato il prof. Luigi Serra, docente universitario,
già preside della Facoltà di Studi arabo-islamici all’Università di Napoli “L’Orientale”:00:03:38:83
R.
– La situazione complessiva è allarmante e disorientante al tempo stesso. E’ difficile
immaginare quali siano veramente le forze in campo sotto una connotazione ideologica
o prettamente in prospettiva politica. Certo è che alla dimensione Mali si affianca
con non poca sorpresa la dimensione Algeria. Mali e Algeria si trovano, come fondamento
politico, connesse in quanto Stato e nazione e luogo africano in un dinamismo di evoluzione
storica delle problematiche interne, sia come aspetto politico locale sia come aspetto
politico di riverbero sull’azione delle potenze occidentali. Al riguardo, non è senza
preoccupazione la formula interventista rapida della Francia, la quale è vero che
ora gode di un appoggio di consenso Onu, è vero tutto: ma è pur vero che la Francia
non ha preliminarmente aspettato un impegnato consenso documentato di altre forze
internazionali.
D. – Un generale consenso: l’opposizione più diretta è stata
quella dell’Egitto …
R. – L’Egitto esce da un momento terribile di confronto
sulla piazza della sua gente, divisa in fazioni diverse. Credo che questa lacerazione
abbia indotto l’Egitto ad assumere la posizione che ha dichiarato a fronte di un sommovimento
in Mali che può significare l’apertura di scontri allineati sul filo del fondamentalismo
religioso e conseguentemente di un ancor più pericoloso momento di terrorismo dettato
non solo e non unicamente da fatti prettamente politici ed economici.
D. –
Quali altri passaggi avrebbero dovuto esserci, secondo lei?
R. – Secondo me,
avrebbe dovuto esserci una riunione degli Stati Africani a dibattere sulla base di
una sollecitazione chiara ed esplicita, oltre che trasparente, dell’Occidente a prendere
coscienza, atto e prospettiva della questione maliana. La stessa Unione degli Stati
Africani appare a tutt’oggi superata da una linea di intervento e, ancora prima, da
una linea di analisi politica prettamente occidentale di quello che accadeva in Mali.
D.
– L’Occidente che viene visto come interventista, può fare da catalizzatore per le
forze estremiste islamiche?
R. – Ha ragione ed è il male e il rischio più profondo.
Stranamente, l’Occidente è puntuale, pesante con i suoi interventi laddove si addensano
nubi in un Paese africano o asiatico; stranamente l’Occidente, con le sue bombe prima,
con i militari a terra dopo, è puntuale in quei territori.
D. – Qual è il suo
auspicio?
R. – Il mio auspicio è che le due componenti al momento contrapposte
in Mali siano, sotto l’egida di una forza garante politica e diplomatica innanzitutto,
invitate a breve termine e con paletti di comportamento ben chiari e definiti, a incontrarsi,
colloquiare e individuare quali siano i veri e reali interessi delle popolazioni maliane,
viste al di là della contrapposizione ideologica-religiosa, e lavorare per un miglioramento
delle situazioni locali sotto il profilo culturale, civile e della difesa dei diritti
umani e nel rispetto di una gestione interna delle risorse, forti e significative,
di quello stesso Paese da parte delle autorità locali.