Algeria. Raid contro Al Qaeda: morti 35 ostaggi e 15 rapitori
Algeria. Trentacinque ostaggi stranieri e quindici rapitori tra cui il capo del commando
jihadista sono stati uccisi nell'impianto per l'estrazione di petrolio di In Amenas,
nell'Est del Paese, teatro da ieri di un maxi-sequestro da parte di Al Qaeda nel Maghreb
islamico. Secondo l'emittente panaraba Al-Jazeera, l'esercito algerino ha attaccato
i terroristi, bombardando l’area, mentre stavano trasferendo gli ostaggi in un altro
luogo. L'attacco delle forze speciali algerine sarebbe avvenuto con l'appoggio di
elicotteri. Sette ostaggi sarebbero sopravvissuti al raid e ora sarebbero liberi.
Secondo gli esperti, la presa d’ostaggi in Algeria sarebbe una rappresaglia del terrorismo
islamico per l’intervento militare francese in Mali. Per un’analisi della situazione
Massimiliano Menichetti ha intervistato il prof. Luigi Serra, docente
universitario, già preside della Facoltà di Studi arabo-islamici all’Università di
Napoli “L’Orientale”:
R. – La situazione
complessiva è allarmante e disorientante al tempo stesso. E’ difficile immaginare
quali siano veramente le forze in campo sotto una connotazione ideologica o prettamente
in prospettiva politica. Certo è che alla dimensione Mali si affianca con non poca
sorpresa la dimensione Algeria. Mali e Algeria si trovano, come fondamento politico,
connesse in quanto Stato e nazione e luogo africano in un dinamismo di evoluzione
storica delle problematiche interne, sia come aspetto politico locale sia come aspetto
politico di riverbero sull’azione delle potenze occidentali. Al riguardo, non è senza
preoccupazione la formula interventista rapida della Francia, la quale è vero che
ora gode di un appoggio di consenso Onu, è vero tutto: ma è pur vero che la Francia
non ha preliminarmente aspettato un impegnato consenso documentato di altre forze
internazionali.
D. – Un generale consenso: l’opposizione più diretta è stata
quella dell’Egitto …
R. – L’Egitto esce da un momento terribile di confronto
sulla piazza della sua gente, divisa in fazioni diverse. Credo che questa lacerazione
abbia indotto l’Egitto ad assumere la posizione che ha dichiarato a fronte di un sommovimento
in Mali che può significare l’apertura di scontri allineati sul filo del fondamentalismo
religioso e conseguentemente di un ancor più pericoloso momento di terrorismo dettato
non solo e non unicamente da fatti prettamente politici ed economici.
D. –
Quali altri passaggi avrebbero dovuto esserci, secondo lei?
R. – Secondo me,
avrebbe dovuto esserci una riunione degli Stati Africani a dibattere sulla base di
una sollecitazione chiara ed esplicita, oltre che trasparente, dell’Occidente a prendere
coscienza, atto e prospettiva della questione maliana. La stessa Unione degli Stati
Africani appare a tutt’oggi superata da una linea di intervento e, ancora prima, da
una linea di analisi politica prettamente occidentale di quello che accadeva in Mali.
D.
– L’Occidente che viene visto come interventista, può fare da catalizzatore per le
forze estremiste islamiche?
R. – Ha ragione ed è il male e il rischio più profondo.
Stranamente, l’Occidente è puntuale, pesante con i suoi interventi laddove si addensano
nubi in un Paese africano o asiatico; stranamente l’Occidente, con le sue bombe prima,
con i militari a terra dopo, è puntuale in quei territori.
D. – Qual è il suo
auspicio?
R. – Il mio auspicio è che le due componenti al momento contrapposte
in Mali siano, sotto l’egida di una forza garante politica e diplomatica innanzitutto,
invitate a breve termine e con paletti di comportamento ben chiari e definiti, a incontrarsi,
colloquiare e individuare quali siano i veri e reali interessi delle popolazioni maliane,
viste al di là della contrapposizione ideologica-religiosa, e lavorare per un miglioramento
delle situazioni locali sotto il profilo culturale, civile e della difesa dei diritti
umani e nel rispetto di una gestione interna delle risorse, forti e significative,
di quello stesso Paese da parte delle autorità locali.